Non è mai abnorme la condotta del lavoratore se non è del tutto estranea alle mansioni che svolge

Cassazione Penale Sezione Quarta Sentenza 22/11/2023 n 46841
Responsabile il datore di lavoro per la caduta del dipendente che si era recato in un edificio pericolante per lavorare
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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 novembre 2023, n. 46841 - Mancanza di parapetto e caduta del lavoratore

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. RICCI Anna L.A. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 17/05/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI;

lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

Fatto

1. La Corte di Appello di Taranto in data 17 maggio 2023 ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Taranto del 23 novembre 2021 nei confronti di A.A., amministratore unico della società cooperativa "L'Arca a.r.l", in ordine al reato di cui all'art. 590 c.p., in danno del dipendente B.B., commesso in (Omissis).

Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro, ricostruito nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. Nel corso dei lavori di pulizia di un immobile di proprietà del comune di Taranto, consistenti nella selezione e successivo trasporto di materiali vari disseminati nelle varie stanze, B.B. era salito al primo piano dell'edificio, unitamente ad altri colleghi di lavoro, per rendersi conto della tipologia dell'attività da espletarsi, e, nel ridiscendere le scale fisse, aveva perso l'equilibrio ed era caduto attraverso un'ampia apertura esistente nel pianerottolo totalmente sprovvisto di parapetto, precipitando da un'altezza di circa due metri sul piano di campagna sottostante; a causa della caduta aveva riportato le lesioni personali gravi, consistite in frattura chiusa di otto o più costole e politrauma con fratture costali multiple, che avevano comportato una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo pari a giorni 129.

All'imputato, quali profili di colpa, sono stati addebitati l'imprudenza, la negligenza e l'imperizia e la violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 64, comma 1 lett. a) (in relazione all'allegato IV), per avere omesso di adottare misure idonee a non esporre i lavoratori dipendenti al rischio di caduta nelle zone non protette come le scale fisse che conducevano ai piani superiori e ai pianerottoli, completamente privi, sui lati aperti, di parapetto normale, di ringhiera o di altra difesa equivalente; del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. g), per avere omesso di inviare il lavoratore B.B. alla vista medica entro le scadenza previse dal programma di sorveglianza sanitaria; del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 37 per avere omesso di assicurare allo stesso una formazione adeguata e sufficiente in materia di salute e di sicurezza.

2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l'imputato formulando due motivi.

2.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità. Dall'istruttoria era emerso che il preposto C.C. aveva comunicato telefonicamente ai lavoratori di non operare sul posto di lavoro, in quanto non agibile e pericoloso; era, altresì, emerso che l'uomo che si era trovato insieme a B.B., nel momento in cui era caduto, non era stato identificato, nè indicato dai testi come collega, onde era plausibile che i due si fossero introdotti fraudolentemente nel locale e non già per ragioni lavorative. La condotta del lavoratore, pertanto, doveva essere considerata abnorme, in quanto posta in essere nonostante contraria direttiva, e, quindi, imprevedibile da parte del datore di lavoro, tanto più che era stato nominato un preposto, incaricato di sovraintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei lavoratori di obblighi di legge, nonchè delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza di lavoro, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19. I giudici di merito, in proposito, avevano ignorato che proprio in relazione a tale comportamento B.B. era stato sanzionato disciplinarmente.

Parimenti la Corte non aveva considerato che al RUP del Comune di Taranto era stata inferta una sanzione in ordine alla mancata predisposizione delle tutele sugli infortuni sul lavoro e che il Comune di Taranto committente aveva pagato la sanzione amministrativa in relazione alle carenze rilevate nel DUVRI, a riprova della sua ammissione di responsabilità in ordine all'accaduto.

La sentenza non avrebbe chiarito quali cautele avrebbe dovuto tenere l'odierno imputato, ulteriori rispetto alla nomina del preposto, sicchè la Corte avrebbe dovuto assolvere l'imputato, non essendo emersa la prova della sua responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis c.p. Secondo il difensore tale mancato riconoscimento sarebbe in contraddizione con il ridimensionamento della condotta dell'imputato da parte della sentenza impugnata e con la natura colposa e non già dolosa del reato.

3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Lucia Odello, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

Diritto

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. Il primo motivo, con cui si sostiene in sintesi che l'infortunio si sarebbe verificato per la condotta abnorme del lavoratore, il quale di sua iniziativa e nonostante il divieto comunicatogli dal preposto, avrebbe fatto accesso alla zona di lavoro interdetta, è inammissibile e comunque manifestamente infondato.

2.1. Si deve, a tal fine, ribadire che nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purchè la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218). Quanto alla natura del ricorso in cassazione, si è affermato che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo e altri Rv. 254584). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte dii Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

2.2. Con i motivi in esame il ricorrente, nell'ipotizzare che il dipendente B.B., avesse fatto ingresso nel cantiere, nonostante espresso divieto del preposto e al di fuori dello svolgimento dell'attività lavorativa, sottopone alla corte di legittimità una inammissibile diversa lettura del compendio probatorio. La Corte di Appello, infatti, in replica all'analoga doglianza, ha osservato quanto alla ricostruzione di fatto che il lavoro cui B.B. era addetto era iniziato, addirittura già da un giorno, con il sostanziale assenso del datore di lavoro e del preposto. Dall'istruttoria, infatti, era emerso che la ipotetica telefonata, che il preposto C.C. assume di aver effettuato il giorno dell'infortunio, in un primo tempo alle 17,40 e poi alle 7.40, alla delegata sindacale D.D., per avvisare di non entrare nel Comune, secondo altra teste (E.E.) era avvenuta dopo le ore 9.00 e quindi certamente dopo l'inizio dell'orario di lavoro (ore 8.00); anche a volere ammettere che detta telefonata vi fosse stata, non era, comunque, emerso - hanno osservato i giudici - che la persona offesa ne fosse stata informata. Il percorso argomentativo della Corte di Appello nel ricostruire, dunque, la base fattuale dell'infortunio è coerente e non illogico e, come tale, non censurabile in sede di legittimità.

2.3. Anche sotto il profilo di diritto, inerente la presunta interruzione del nesso di casualità fra la condotta e l'evento per effetto del comportamento del lavoratore ritenuto abnorme, il motivo è manifestamente infondato. In tema di infortuni sul lavoro, il principio informatore della materia è quello per cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, Rv.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ Musso Paolo, rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222). In ogni caso "perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio del comportamento imprudente" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201). Così perimetrata la nozione di atto abnorme del lavoratore, appare evidente come, nel caso in esame, detta categoria non possa in alcun modo essere invocata. La Corte di merito ha rilevato che la persona offesa, portata sul luogo di lavoro con altri dipendenti, si era recata nel palazzo ove si era verificata la caduta, proprio per lavorare, ovvero per iniziare, anche a voler aderire alla tesi difensiva, a programmare l'attività di smaltimento demandatale: quel che è certo - hanno rilevato i giudici - è che B.B. non era entrato nei locali del Comune per scopi personali estranei alla attività lavorativa e che, nel momento in cui si era apprestato allo svolgimento della sua attività lavorativa, il preposto non aveva fatto nulla per fermarlo. In ogni caso, l'attesa eventualmente imposta ai lavoratori era collegata alla assenza dei cassoni ove avrebbero dovuto essere riposti i mobili da portare via e non certo allo stato dei luoghi; B.B., al momento del fatto, aveva iniziato a trasportare dai piani superiori le suppellettili da smaltire, in attesa dell'arrivo dei "cassoni" dell'Amiu, ove avrebbero dovuto essere riposte.

2.4. Infine la censura è manifestamente infondata anche nella parte in cui richiama la responsabilità del comune di Taranto in qualità di committente. In tale senso la Corte di Appello ha osservato che la responsabilità del Comune di Taranto non valeva ad escludere quella dell'odierno ricorrente, posto che nel caso di specie erano presenti, semmai, più figure di garanzia e più soggetti obbligati. L'imputato avrebbe dovuto adeguare e, se del caso (anche ammesso che vi fossero obblighi in capo al committente), far adeguare il sito prima di disporre che i suoi dipendenti vi prestassero l'attività lavorativa. D'altronde in tema di sicurezza sul lavoro, vige il principio della c.d. "causalità additiva, in forza del quale, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo di tutela imposto dalla legge, sicchè l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile a ogni singolo obbligato (Sez. 4 n. 928 del 28/09/2022, dep. 2023, Bocchio, Rv. 2840869).

3. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità. La Corte ha ritenuto non sussistere i presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo sufficiente lo stato di incensuratezza. La motivazione è coerente con i consolidati principi della giurisprudenza di legittimità, in base ai quali si è già chiarito che la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, la concessione dovendo essere fondata sull'accertamento di situazione idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza (cfr. sez. 3, n. 9836 del 17/1172015, Piliero, Rv. 266460), essendo, a tal fine, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (cfr. sez. 2 n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/04/2013, Rv. 256201). A fronte di tale motivazione, la censura del ricorrente è generica e apodittica, non contenendo alcun riferimento alla fattispecie concreta.

4.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2023

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