Morte per colpo di calore: responsabile il datore di lavoro che non sospende le lavorazioni nei periodi più caldi
Cassazione Penale, Sez. 4, 09 agosto 2022, n. 30789
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 08/02/2022
Fatto
1. La Corte di appello di Ancona, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Ancona per aver ritenuto, per entrambi gli imputati, la prevalenza delle attenuanti generiche sulla concorrente aggravante ed avere in conseguenza ridotto la pena agli stessi inflitta, ha confermato la penale responsabilità di DR.L. e A.V. e la responsabilità amministrativa della MMA Costruzioni s.r.l. in ordine all'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies d.lgs 231/2001, nonché le statuizioni civili in favore della parte civile INAIL.
2. Gli imputati sono stati chiamati a rispondere del reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen., perché, DR.L. quale legale rappresentante e datore di lavoro della citata ditta, A.V. quale socio lavoratore, amministratore di fatto e datore di lavoro di fatto della medesima società, cagionavano, per colpa generica e per la violazione dell'art. 96, comma 1, lett. d), d.lgs. 81/2008, la morte del lavoratore B.A., assunto irregolarmente, il quale, durante il montaggio di una copertina di cemento presso un cantiere edile, accusava, intorno alle 16.30 un malore e poi decedeva presso l'Ospedale di Ancona per ipertermia da colpo di calore. Agli imputati, nelle loro qualità di datori di lavoro, è stato rimproverato di non avere preso precauzioni contro le influenze atmosferiche che potevano compromettere la salute del lavoratore, in particolare non disponendo la sospensione dell'attività lavorativa nelle ore più calde (in quei giorni le temperature massime erano di circa 37 gradi, superiori alla temperatura massima media del periodo). Ad A.V. viene altresì mosso il rimprovero di aver ritardato l'intervento dei sanitari, trasportando l'infortunato mediante automobile, anziché facendo tempestivamente intervenire l'ambulanza, e comunque chiamando in ritardo il soccorso mediante il 118 (in Ancona, il 07/08/2013).
3. Avverso la prefata sentenza ricorre, con un unico atto, il difensore di fiducia di entrambi gli imputati e della menzionata società, mediante l'articolazione di due motivi trattati congiuntamente:
3.1. Erronea applicazione ed interpretazione della legge penale e dell'art. 96, comma 1, lett. d), d.lgs. 81/2008.
3.2. Carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in rapporto alla ricostruzione dell'organizzazione dell'attività lavorativa emersa dall'esame dell'imputato A.V.. Sbaglia la Corte di appello a riferirsi alla mancata previsione di adeguate misure di prevenzione "a monte" ovvero in quello che viene genericamente chiamato "documento", con ciò probabilmente intendendo la documentazione della ditta relativa ai piani di sicurezza e prevenzione. Invero, tale documentazione, così come tutte le misure di sicurezza che dovevano essere predisposte all'interno del cantiere, sono risultate pienamente in regola. Altro doveva essere il tema dell'accertamento e cioè la condotta tenuta dal datore di lavoro alla luce degli obblighi imposti dall'art. 96, comma 1, lett. d), d.lgs. 81/2008, occorrendo rispondere alla domanda se, nella giornata del 7 agosto 2013, in costanza delle anzidette condizioni atmosferiche, il lavoratore sia stato esposto, per la mancata adozione di misure idonee a contenere l'impatto atmosferico, ad un rischio prevedibile ed evitabile. Sul punto, la sentenza impugnata offre una risposta illogica, astratta e priva di continuità con le risultanze istruttorie. Nel caso concreto, le precauzioni esemplificate dalla Corte territoriale (p. 5 sent.) per fronteggiare il caldo hanno trovato applicazione, giacché lo stesso A.V., compagno di lavoro della vittima e sulla cui credibilità non è sorto alcun dubbio, ha dichiarato che l'B.A. ha svolto la propria prestazione - volutamente rivolta ad attività che non comportavano particolari sforzi fisici - in gran parte all'interno di aree riparate e che l'esposizione al sole è stata costantemente intervallata. Né può accettarsi la conseguenza cui condurrebbe la mera ipotesi, formulata in sentenza, per la quale - essendosi la vittima resa disponibile ad aiutare l'A.V., con il quale aveva in programma di ripartire il lunedì verso il paese di origine, per completare i lavori entro quella settimana - vi fosse una "premeditata" esclusione di pause o interruzioni. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, l'assenza di indicatori specifici tali da far ritenere che la vittima fosse inidonea al lavoro di muratore è circostanza assolutamente rilevante sotto il profilo della causalità in quanto induce ad affermare che anche eventuali visite mediche preventive, finalizzate alla regolare assunzione del lavoratore non avrebbero di certo escluso l'idoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni a cui era stato adibito. Essendo il citato art. 96 una norma "aperta" - che lascia al destinatario del precetto la scelta del comportamento da adottare al fine di prevenire il pericolo, deve essere sempre individuato sia il margine di prevedibilità dell'evento sia il nesso causale tra esso e le opzioni concretamente percorribili prima del suo verificarsi. Nella sentenza impugnata tale piano valutativo è stato soppiantato da una visione astratta che configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva. Anche in riferimento alla fase di soccorso, la motivazione risulta carente. Il fatto che l'attività istruttoria non sia approdata alla certezza provata di un intervento di pronto soccorso inidoneo deve portare, in forza della presunzione di non colpevolezza, ad escludere la responsabilità penale dell'imputato.
Di qui la richiesta di annullamento della sentenza.
4. Il Procuratore Generale in sede ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi.
5. L'Inail ha presentato memoria difensiva.
Diritto
1. I ricorsi impongono le considerazioni che seguono.
2. Accertate dai giudici di merito e non contestate le posizioni di garanzia, gli imputati ricorrenti lamentano l'inesistenza della violazione di una regola cautelare, in particolare di quella indicata nell'incolpazione, dell'obbligo di non aver ottemperato all'art.96, comma 1, lett. d), d.lgs. n.81/2008, di curare la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute.
Tale obbligo - come ben rimarcato nella sentenza impugnata - è posto in generale a carico del datore di lavoro quale garante della incolumità degli addetti che svolgono attività all'aperto, e tra questo gli addetti all'edilizia, attraverso la indicazione del fattore di pericolo legato ad agenti atmosferici, rientranti ex art.180 d.lgs.n.81/08, tra gli agenti fisici da valutare al fine di approntamento delle misure precauzionali necessarie a fronteggiare la incidenza sulle condizioni di sicurezza.
Quanto al profilo di colpa generica, del pari ravvisato nella condotta degli imputati, si ricorda che tema di infortuni sul lavoro non occorre, per configurare la responsabilità del datore di lavoro, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore (Sez. 4, n. 9745 del 12/11/2020, dep. 2021, Dutu Costantin, Rv. 280696; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265052).
3. Tanto premesso in punto di diritto, è stato acclarato dalla istruttoria dibattimentale che il lavoratore B.A. si stava occupando del posizionamento di una copertina di cemento su un muretto esterno ad una villetta, esposto al sole in una giornata particolarmente calda, in un orario (immediatamente successivo alla pausa pranzo) in cui i valori termici progrediscono verso il massimo, con rischio di ipertermia da colpo di calore, dovuto anche allo sforzo fisico impiegato nell'attività. Appare perciò immune da vizi logici e giuridici l'argomentare della Corte territoriale, la quale, in base alla consulenza tecnica, ha affermato che, in situazioni del genere, vanno previste ed applicate regole precauzionali capaci di prevenire la concretizzazione del rischio, evitando di sottoporre il lavoratore ad attività all'esterno faticose in ore calde, prevedendo pause di riposo frequenti, predisponendo ripari ombreggiati, oltre ad accorgimenti sul vestiario, nonché sulla alimentazione e idratazione.
Ciò perché l'ipertermia da colpo di calore è una "sindrome generale che si manifesta quando la temperatura interna del corpo si innalza notevolmente perché l'organismo non è più capace di mantenere il proprio equilibrio termico di fronte all'elevarsi della temperatura ambientale per difetto dei processi di termolisi, che si verifica quando la vasodilatazione periferica, la sudorazione, la termodispersione attraverso la cute, l'iperventilazione polmonare non sono più capaci di ridurre la termogenesi interna" (così la consulenza citata in sentenza).
Nel caso di specie, pur in presenza di una norma "aperta", nessun tipo di accorgimento era stato adottato per proteggere il lavoratore dal rischio di un danno alla salute come conseguenza di una prolungata esposizione al sole, in costanza di temperature assai elevate, durante lo svolgimento di mansioni lavorative pesanti e faticose.
Nessun dubbio - rimarca ancora la Corte condividendo le valutazioni del primo giudice - che, pacifica l'individuazione della causa del decesso nel "colpo di calore", appariva evidente il nesso di causalità con l'attività lavorativa che la vittima stava svolgendo, così come evidente l'esito del giudizio controfattuale che l'evento mortale non si sarebbe verificato se i datori di lavoro avessero adottato le precauzioni contro le influenze atmosferiche, anche sospendendo i lavori nelle ore più calde.
Di contro, l'A.V., presente sul posto, aveva fatto riprendere l'attività lavorativa subito dopo la pausa pranzo, quindi in orario molto caldo (alle 14.30 circa), con la digestione in corso, inviando l'B.A., da solo, sotto il sole e senza alcuna protezione, a caricare e trasportare una carriola di impasto, attività che ha richiesto una decina di minuti e proprio in seguito alla quale (come riferito dall'imputato) l'B.A. aveva cominciato a barcollare e a stare male (così la sentenza di primo grado, fatta propria dai giudici del gravame).
4. Di qui l'infondatezza del ricorso del DR.L. e dell'A.V., per quest'ultimo relativamente a tale profilo di colpa.
5. A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo al secondo profilo di colpa contestato al solo A.V. di aver ritardato "l'intervento dei sanitari, trasportando l'B.A. mediante automobile anziché facendo intervenire tempestivamente l'ambulanza, nonché chiamando in ritardo il soccorso mediante il numero 118".
Sul punto il Tribunale ha ritenuto che l'imputato avesse ritardato "colpevolmente" i soccorsi in vario modo, dapprima, dicendo di soprassedere dal chiamare il 118 in quanto l'B.A., che già aveva accusato un malore, sembrava essersi ripreso; quindi, caricando il lavoratore, già in ipetermia, sulla propria auto "evidentemente per evitare che venisse soccorso sul luogo di lavoro", esponendolo così al calore dell'autovettura e ritardando ulteriormente i soccorsi non avendo una cognizione di dove fosse l'ospedale da raggiungere.
La Corte territoriale riprende tale considerazione del primo giudice rimarcando che la condotta tenuta dall'imputato nella fase di soccorso ha dimostrato un livello di forte approssimazione, connesso alla mancanza di conoscenza e formazione sul da farsi e della importanza dei sintomi del colpo di calore poco prima manifestatisi (vomito, perdita di sensi, rialzo termico), marginalizzati rispetto al verosimile timore di determinare un intervento diretto del 118 sul cantiere ove l'operaio lavorava in nero, così da improntare un soccorso "che non è dato sapere se conforme alle regole di primo intervento prescritte dai protocolli e da adottarsi nella immediatezza (spugnature e simili, piuttosto che idratazione diretta con acqua) poi un ritardo più o meno consistente nell'intervento medico".
La motivazione è carente e inadeguata, perché la Corte non spiega in maniera sufficientemente approfondita né la consapevolezza dell'imputato di porre in essere un comportamento non adeguato alla situazione concreta, né la evitabilità dell'evento mortale in caso di un intervento più tempestivo del 118.
Di qui l'annullamento con rinvio della sentenza sul punto per una nuova valutazione di detto profilo di colpa.
6. Da rigettare il ricorso della MMA Costruzioni S.r.l. che, in realtà, non svolge alcun autonomo motivo riguardante la propria posizione processuale, ma si limita a chiedere l'annullamento della sentenza come conseguenza della esclusione della responsabilità degli imputati/datori di lavoro, responsabilità che va invece confermata per quanto sopra detto e nei limiti indicati per il solo A.V..
6. Le spese processuali e quelle nei confronti della parte civile, liquidate come da dispositivo, seguono al rigetto dei ricorsi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata quanto a A.V. limitatamente al profilo di colpa consistito nel ritardato intervento dei sanitari e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia, cui demanda anche la regolamentazione tra il suddetto e l'Inail delle spese di questo giudizio. Ne rigetta nel resto il ricorso. Rigetta i ricorsi di DR.L. e della MMA Costruzioni S.r.l. che condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di questo giudizio a favore dell'Inail, che liquida in euro mille, oltre accessori di legge, per ciascuno di essi.
Roma, 8 febbraio 2022