L’applicazione di un periodo di comporto di uguale durata tra lavoratori non disabili e disabili rappresenta, di per sé, una condotta discriminatoria
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto dott. Michele Cuccaro ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta sub. nr. 10/2024 R.G., promossa con ricorso depositato il 23/1/2024 da: XXX, con l’avv. Giovanni Guarini del Foro di Rovereto, giusta delega allegata al ricorso RICORRENTE contro YYY, rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Seraglio Forti e Sabrina Fraccaro giusta delega allegata alla memoria di costituzione CONVENUTA
In punto: impugnazione licenziamento CONCLUSIONI Ricorrente: “Voglia il Tribunale, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, accertare e dichiarare la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità e comunque annullare il licenziamento intimato dalla convenuta YYY al ricorrente XXX con lettera datata 22 agosto 2023 e conseguentemente: in via principale: 2 condannare la convenuta YYY in persona del legale rappresentante pro tempore, a reintegrare il ricorrente XXX nel posto di lavoro e a pagargli, a titolo di indennità risarcitoria ex dall’art. 2, comma 1 d.lgs 23/2015 o comunque in subordine dall’art. 2 comma 3 d.lgs 23/2015 una somma pari alla retribuzione utile per il calcolo del TFR maturata e maturanda dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, da calcolarsi sull’importo mensile di € 2.117,80, ovvero sul diverso importo ritenuto di giustizia, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In subordine: condannare la convenuta YYY in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare al ricorrente XXX ex art. 3 comma 1 d.lgs 23/2015, un'indennità di importo pari 36 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari a € 2.117,80 (1 mensilità) o comunque la maggiore o minore somma che il Giudice riterrà equa in estremo subordine: condannare la convenuta YYY in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare al ricorrente XXX ex art 9 d.lgs 23/2015, un'indennità di importo pari 6 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari a € 2.117,80 (1 mensilità) o comunque la maggiore o minore somma che il Giudice riterrà equa Con interessi legali e rivalutazione monetaria. In ogni caso condannare YYY al pagamento delle spese di lite, comprese le competenze e gli onorari pari ad € 11.327,00 (oltre spese 3 generali, IVA, CPA e maggiorazione forfettaria) oltre ad euro 259 a titolo di esborsi da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario.
Convenuta: “Voglia l’Ill.mo Giudice adito, ogni contraria domanda, istanza ed eccezione disattesa e respinta, così decidere: Omissis nel merito in via principale: respingere le domande tutte proposte col ricorso avversario in quanto infondate in fatto e in diritto; omissis Con vittoria di spese e compenso professionale da determinarsi secondo i nuovi parametri di cui al Decreto Ministero Giustizia 10.3.2014 n. 55, G.U. 2.4.2014, oltre oneri di legge.”. In via istruttoria come nella memoria di costituzione.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso dd. 23/1/2024 XXX – premesso di avere lavorato alle dipendenze di YYY dal 18.05.2020 quale autista di mezzi pesanti, di avere subito un infortunio sul lavoro in data 9/6/2021 e di essere stato licenziato in data 22/8/2023 per asserito superamento del periodo di comporto – conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale la citata società per sentire: A) accertare la nullità la nullità e/o l’inefficacia e/o l’illegittimità del licenziamento, con condanna, in via principale, alla reintegra nel posto di lavoro e/o al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 2 D.lgs. n. 23/2015 ovvero, in via subordinata, al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura di 36 4 mensilità ex art. 3 del D.lgs. n. 23/2015 ovvero ancora, in estremo subordine, nella misura di 6 mensilità ex art. 9; B) accertare la responsabilità di XXX Società Cooperativa in ordine al citato infortunio, con condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali quantificati in € 453.763,20.
A sostegno della sua domanda sub A) evidenziava di trovarsi in una situazione di disabilità, con la conseguenza che il licenziamento doveva ritenersi discriminatorio alla luce dell’interpretazione eurounitaria e della Cassazione circa la Direttiva 2000/78/CE; in subordine affermava come il licenziamento fosse comunque illegittimo per mancato superamento dle periodo di comporto; quanto alla domanda sub B), affermava di avere patito a causa dell’infortunio postumi permanenti nella misura del 16% secondo le valutazioni INAIL e un danno biologico permanente pari al 20%, oltre alla inabilità temporanea, alla incapacità lavorativa specifica totale e ad uno stato di sofferenza di intensità da grave a media. Nel costituirsi in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso, YYY ribadiva la piena legittimità dell’irrogato licenziamento, negava che il ricorrente fosse disabile e che l’infortunio si fosse verificato per causa imputabile ad essa datrice di lavoro; contestava la quantificazione die danni operata ex adverso e chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa in manleva Generali Italia spa, con la quale aveva stipulato apposita polizza assicurativa. Disposta la chiamata in causa, Generali Italia spa si costituiva aderendo alle difese della convenuta e chiedendo il rigetto delle avverse pretese, in subordine in punto quantum. Esaurito senza esito il prescritto tentativo di conciliazione, venivano sentiti alcuni testi sui capitoli di prova articolati dalle parti ed ammessi dal giudice. Dopo alcuni rinvii per trattative, le parti raggiungevano un’intesa transattiva in relazione alla domanda di risarcimento danni da infortunio, che veniva abbandonata dal ricorrente, con accettazione delle altre parti e conseguente estromissione della terza chiamata. All’odierna udienza, precisate dalle parti le conclusioni in epigrafe trascritte, la causa veniva decisa come da dispositivo letto pubblicamente e veniva contestualmente depositata sentenza.
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La domanda proposta in via principale dal ricorrente dev’essere accolta. Risulta fondata, infatti, la ricostruzione della difesa del lavoratore, secondo cui il licenziamento subito da quest’ultimo è nullo in quanto discriminatorio, con conseguente applicazione dei primi due commi dell’art. 18 St. Lav. Le condizioni sanitarie del ricorrente rientrano nella definizione di disabilità elaborata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La lombalgia patita dal lavoratore a seguito della frattura composta del III prossimale della diafisi peroneale sx e frattura con distacco del malleolo tibiale mediale sx è di certo di lunga durata e rappresenta una minorazione fisica idonea a ostacolare la sua partecipazione in condizioni di parità alla vita professionale. Ciò anche alla luce delle attività da egli concretamente svolte (guida di automezzi pesanti implicante l’utilizzo di pesanti catene per assicurare i carichi al rimorchio). Quanto appena affermato è ampiamente dimostrato dalla copiosa documentazione medica versata in atti dal ricorrente e dalle prove testimoniali assunte allorquando la causa verteva anche sull’infortunio occorso al XXX in data 9/6/2021. Risultano, allora, pienamente integrati tutti i requisiti elaborati dalla giurisprudenza di rango eurounitario perché una patologia sia considerabile disabilità ai fini del diritto antidiscriminatorio (cfr. in particolare CGUE 18 gennaio 2018 C-270/16, Ruiz Conejero; CGUE 11 aprile 2013 C-335/11 e C-337/11, HK Danmark). Ancorchè non rilevante ai fini della decisione della presente vertenza – stante la sicura conoscenza da parte della datrice di lavoro tanto dell’infortunio, quanto della successiva malattia – mette conto evidenziare come, ai fini dell’accertamento di eventuali condotte discriminatorie sul luogo di lavoro, non rileva che la disabilità non sia stata riconosciuta ai sensi della L. 104/1992, della L. 68/1999 o, comunque, non rientri nelle varie definizioni di inidoneità o inabilità dettate da discipline settoriali di diritto interno. Non esiste, infatti, una definizione di disabilità univoca tra i vari settori dell’ordinamento e, in ambito giuslavoristico, la condizione di disabilità dipende solo dall’accertamento della menomazione fisica del lavoratore (Cass. 23338/2018; Trib. Milano sez. lav. 12 giugno 2019). Tanto chiarito, il licenziamento per superamento del periodo di comporto subito dal ricorrente è di certo nullo: l’applicazione di un periodo di comporto di uguale durata tra lavoratori non disabili e disabili rappresenta, di per sé, una condotta discriminatoria (cfr. da ultimo Cass. civ. 9095/2023), e l’applicazione di eventuali norme di un contratto collettivo che non prevedano tale distinzione – come quello indicato dalla datrice di lavoro – rappresenta una palese violazione di legge. La società convenuta non ha, invero, offerto la dimostrazione di aver adempiuto all’obbligo di predisporre accomodamenti ragionevoli in favore della conservazione del posto di lavoro del disabile. Tale onere della prova incombe sul datore di lavoro; a tal proposito, non può trascurarsi che YYY ha omesso di informare, in qualunque modo, il dipendente dell’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto; pare, al riguardo, pienamente lecito far rientrare tale avvertimento tra gli accomodamenti ragionevoli che la datrice di lavoro aveva il dovere di predisporre in favore del dipendente disabile (in tal senso, cfr. Corte d’Appello di Trento, sentenza n. 8 del 09/03/2023). Il ccnl applicato permette, infatti, al lavoratore di usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita al fine di allungare il periodo in cui conserva il diritto alla conservazione del posto di lavoro e l’avvertimento preventivo al lavoratore avrebbe di certo consentito a quet’ultimo di vagliare attentamente tale possibilità. La condotta di YYY, dunque, risulta illegittima anche dal punto di vista del dovere di predisposizione di accomodamenti ragionevoli: ciò rappresenta un ulteriore elemento di discriminazione che porta alla nullità del licenziamento. L’accertamento della natura discriminatoria del licenziamento rende superflua l’analisi degli ulteriori motivi di ricorso, riguardanti il contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro e l’interpretazione della disciplina del periodo di comporto.
In definitiva, la convenuta va condannata a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato ed a corrispondergli un’indennità commisurata ad una retribuzione globale di fatto di Euro 2.117,80 – importo non oggetto di contestazione tra le parti - mensili dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Spese Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza P.Q.M. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede: 1) accerta e dichiara la nullità del licenziamento intimato al ricorrente in data 22/8/2023 e, per l’effetto, condanna la convenuta a reintegrarlo nel posto di lavoro precedentemente occupato ed a corrispondergli un’indennità ex art. 2, comma 2 d.lgs 23/2015 commisurata ad una retribuzione utile per il calcolo del TFR di Euro 2.117,20 mensili dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; 2) condanna la convenuta al pagamento in favore del ricorrente – e, per esso, del difensore antistatario - delle spese legali, che liquida in € 6.259 (di cui € 259 per esborsi ed il resto per compensi), oltre IVA, CNPA e 15%.
Così deciso in Rovereto il 14 novembre 2024 Il Giudice dott. Michele Cuccaro