Il lavoratore che dice il falso agli ispettori del lavoro perchè minacciato di licenziamento può invocare lo stato di necessità

Tribunale di Rovereto Sentenza 25/6/2012 n 150 Giudice Dr. Riccardo Dies
Si applica la scriminante art 54 c.p. al lavoratore imputato per reato di falso agli ispettori del lavoro
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TRIBUNALE DI ROVERETO

SENT.N.12/150

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dell'udienza preliminare dott. Riccardo Dies all'udienza

del 21 giugno 2012 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del

dispositivo la seguente

S E N T E N Z A

- art. 442 c.p.p. -

1) E.A.A., nato a El Kelaa (Marocco) il ..., con domicilio eletto in

Fiavè alla piazza S.S. n. 18 presso tale Kaird;

LIBERO - PRESENTE

Assistito e difeso dall'Avv. CLAUDIO ROBOL del Foro di Rovereto di

fiducia

2) S.A. - OMISSIS

I M PU T A T I

Del reato p. e p. dagli artt. 110 e 495 c.p., perché, in concorso

tra loro, il S. nel ruolo di istigatore e l'E.A. nel ruolo di autore

materiale della condotta, attestavano falsamente a Uff.li di P. G.

del Servizio Lavoro di Trento che le generalità dell'E.A. erano:

S.K., nato in Marocco il ....

In Mori, il 19 maggio 2011.

CONCLUSIONI

Il Pubblico Ministero, dott. Rodrigo Merlo chiede la condanna

dell'imputato alla pena di mesi 2 di reclusione così ridotta per il

rito da pena base di mesi 3; il difensore di fiducia dell'imputato

chiede in via principale assoluzione perché il fatto non costituisce

reato; in subordine minimo della pena con sospensione condizionale

della stessa.

(Torna su ) Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di richiesta del PM di rinvio a giudizio, con decreto dd. 10.04.2012 veniva fissata l'udienza preliminare del 31.05.2012, il cui avviso veniva regolarmente notificato agli imputati e ai difensori. All'udienza indicata, l'imputato E.A. avanzava richiesta di rito abbreviato condizionato all'audizione di un teste. Ammesso il rito speciale, previo stralcio della relativa posizione, all'udienza del 21 giugno 2012, esaminato il teste richiesto dalla difesa, le parti concludevano come da verbale.

(Torna su ) Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene questo Giudice di dover assolvere l'imputato dal reato ascrittogli, perché il fatto è stato commesso in presenza della causa di giustificazione dello stato di necessità, a norma dell'art. 54 c.p..

L'imputato è accusato di aver reso false generalità agli ufficiali di PG del Servizio Lavoro di Trento in occasione del controllo compiuto presso un cantiere in via N. a Mori (TN) in data 19.05.2011 e, pertanto, del reato previsto dall'art. 495 c.p. Il fatto risulta provato, nei termini di seguito precisati, dalla notizia di reato dd. 06.09.2011, dall'allegata relazione di servizio degli ispettori del lavoro P.F. e L.M., dai due moduli di identificazione, dal verbale di spontanee dichiarazioni rese dall'imputato in data 05.70.2011, dalla copia della carta di identità dell'imputato, dalle schede anagrafiche di S. A., S. K., dalla documentazione acquisita presso la Questura di Trento e dalla scheda anagrafica dell'imputato.

In data 19.05.2011 in occasione di un'ispezione sul cantiere sopra indicato, volto ad accertare i lavoratori impegnati, gli ispettori del lavoro osservavano sopraggiungere in cantiere un furgone con l'indicazione della ditta "Linea Service S.r.l.", dal quale scendevano due lavoratori che iniziavano a rimuovere il bagno chimico presente in cantiere e a caricarlo sul mezzo. Invitati a declinare le proprie generalità quello qualificatosi come titolare della ditta esibiva una regolare carta di identità con la quale è stato identificato per S. A., nato il .... L'altro lavoratore si dichiarava privo del documento di identità e veniva pertanto invitato ad indicare le proprie generalità sul relativo "modulo notizie per identificazione di cittadini privi di un valido documento di identità". Durante le fasi di compilazione i due lavoratori parlavano tra loro ripetutamente in lingua araba nonostante l'invito a parlare in italiano.

Il lavoratore privo di documenti di identità compilava un primo modulo con le generalità di S.K. nato il ... che però non sottoscrisse adducendo un errore di compilazione e quindi compilava un secondo modulo con le generalità di S.K. nato in Marocco il ..., che alla fine sottoscrisse.

Mentre questo lavoratore stava fornendo chiarimenti sulla propria posizione lavorativa il S. interveniva lamentandosi del tempo perso e nonostante l'espresso invito a mantenere un comportamento corretto e rimanere in cantiere sino al termine degli accertamenti, dopo aver nuovamente comunicato con l'altro lavoratore in lingua araba, faceva salire quest'ultimo sul furgone e si allontanava dal cantiere.

Successivamente all'accesso ispettivo il datore di lavoro S. si impegnava a presentarsi presso il Servizio Lavoro della Provincia insieme al lavoratore presente in cantiere ma in data 05.07.2011 si presentava solo quest'ultimo, riconosciuto dagli ispettori del lavoro, esibendo regolare carta di soggiorno e carta di identità con le generalità di A.A.A. nato in Marocco il ...

Venendo alle questioni controverse, nell'occasione l'imputato rilasciava spontanee dichiarazioni sostenendo che: nel periodo in cui era stato fatto il controllo usufruiva di vitto ed alloggio presso il fratello del S. a Mezzolombardo; quel giorno è stato invitato dal S. a seguirlo presso alcuni cantieri per dargli una mano; sono passati prima al magazzino per ritirare del materiale per le pulizie e poi sono passati per alcuni cantieri presso Rovereto dove non ha lavorato; quindi sono andati presso il cantiere di M. dove ha aiutato il S. a caricare sul furgone un bagno chimico; quando gli ispettori gli hanno chiesto un documento di identità, il S. gli ha detto in arabo di fornire le generalità del proprio fratello che era in regola e al suo iniziale rifiuto ha insistito tanto che scrisse il nome del fratello ma la propria data di nascita; ad un certo punto il S., sempre in lingua araba, gli ordinò di non dire più nulla e di scappare precisando che non avrebbe più potuto dormire e mangiare dal fratello se non obbediva e così fece quanto richiesto. Nell'occasione l'imputato ha anche precisato che il S. lo ha avvicinato prima del 05.07.2011 per concordare una versione di comodo.

Questa versione dei fatti è in tutto confermata dall'esito della successiva indagine delegata dal PM che ha consentito di accertare l'effettiva sussistenza del fratello del S., di nome K., nato in Marocco il ..., titolare di regolare permesso di soggiorno e residente in Mezzolombardo (cfr. relativo permesso di soggiorno e scheda anagrafica).

E' pure parzialmente confermata dal teste esaminato su richiesta della difesa, K.B. il quale in particolare ha confermato che: conosce l'imputato come connazionale e perché lo ha più volte ospitato presso casa sua quando non aveva a disposizione un alloggio; ricorda di averlo ospitato a casa sua anche nel maggio del 2011 e che prima era ospitato da un altro suo amico a Mezzolombardo; non sa dire o non ricorda il motivo per il quale l'imputato perse l'alloggio di Mezzolombardo.

E' invece smentita dall'interrogatorio reso dal S. in data 02.04.2012 il quale ha decisamente negato di aver mai suggerito all'imputato di fornire false generalità, pur confermando che in quel periodo era ospitato presso l'abitazione del fratello. Riguardo al motivo per il quale in occasione del controllo abbia parlato in arabo con l'imputato nonostante l'invito a parlare in italiano si è limitato a dichiarare che "noi marocchini siamo abituati a parlare in lingua araba. Pensavo che il lavoratore parlasse poco italiano perché lo conoscevo da poco". Infine ha precisato che si è allontanato dal cantiere, nonostante l'invito degli ispettori di ivi trattenersi sino al termine dell'accertamento, perché aveva molto da fare.

Tali essendo gli elementi di prova a valutazione di questo Giudice la materialità del fatto contestato, è accertata in modo certo. Non può, infatti, essere contestato che effettivamente l'imputato ha reso, nell'occasione sopra illustrata, false generalità agli ispettori del lavoro che le avevano richieste.

Ritiene tuttavia questo Giudice che sia provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che effettivamente l'imputato ha commesso il reato sotto la minaccia del proprio datore di lavoro S. che gli ha ordinato di rendere le generalità del fratello K., che era stato da lui regolarmente assunto. Pur in assenza di una prova diretta sul punto, dal momento che gli ispettori del lavoro non hanno naturalmente capito cosa i due si dissero in occasione del controllo in lingua araba, emergono tuttavia indizi che per essere gravi, precisi e concordanti, a norma dell'art. 191, comma 2 c.p.p., assurgono a piena prova.

Va infatti osservato come le spontanee dichiarazioni rese sul punto dall'imputato sono in tutto confermate dalle seguenti circostanze.

In primo luogo il fatto che il S. abbia parlato in arabo con l'imputato in occasione del controllo, nonostante il ripetuto invito degli ispettori di utilizzare la lingua italiana, è un elemento di conferma della versione dell'imputato, anche perché rimasto sostanzialmente non giustificato dall'originario coimputato il quale nel suo interrogatorio si è limitato ad affermare che conosceva poco l'imputato e riteneva che conoscesse poco la lingua italiana. Ma si tratta di giustificazione assai poco credibile se si considera che l'imputato è da anni in Italia, è titolare di carta di soggiorno e conosce perfettamente la lingua italiana, come del resto lo stesso S.. In definitiva l'utilizzo della lingua araba trova ragionevole e piana spiegazione nel caso il S. istigasse il proprio dipendente a rendere false generalità mentre non ha alcuna giustificazione se il S. si fosse limitato ad invitarlo a fornire le sue corrette generalità, come sostenuto nell'interrogatorio.

In secondo luogo va osservato come l'imputato, pur fornendo nome e cognome, peraltro scritto in modo errato, del fratello del S., ha indicato la propria data di nascita, a dimostrazione e conferma della propria riluttanza a fornire false generalità. In terzo luogo va pure osservato che l'unico ad avere interesse che l'imputato fornisse le false generalità del fratello del S. era il S. medesimo, in quanto aveva assunto regolarmente il fratello e non invece l'imputato. Infatti l'imputato, quale cittadino extracomunitario titolare di regolare carta di soggiorno non aveva alcun interesse diretto a rendere false generalità, perché in caso di assunzione in nero l'unico che rischia sanzione è il datore di lavoro, non il lavoratore.

In quarto luogo, importante elemento di riscontro della versione fornita dall'imputato è dato dal fatto che dopo il controllo subito egli ha effettivamente perso il vitto e l'alloggio di Mezzolombardo ricevuto dal fratello del S., come minacciato dal S. e come riscontrato dal teste esaminato.

In quinto luogo anche il comportamento successivo con la fuga di entrambi dal cantiere trova piana giustificazione nella versione resa dall'imputato mentre resta difficilmente comprensibile con la giustificazione resa dal S., per la quale aveva molto da fare e l'imputato non era suo dipendente, perché non spiega perché mai si sia allontanato anche quest'ultimo.

Infine mette conto di osservare come con la presentazione dell'imputato all'ufficio del Lavoro della Provincia, con carta di soggiorno e carta di identità, lo stesso abbia consentito la sua piena identificazione, col rischio di un procedimento penale a suo carico, altrimenti di assai dubbia praticabilità per l'impossibilità di individuare il responsabile, visto che in occasione del controllo non sono state prese le impronte digitali del soggetto che ha reso le false generalità. Ciò consente indubbiamente di attribuire una sicura attendibilità alle dichiarazioni dall'imputato rese.

Alla luce di tutte queste circostanze si può ritenere definitivamente accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il fatto sia stato dall'imputato commesso sotto la minaccia del S. di perdere il proprio lavoro, sia pure in nero, oltre che il vitto e l'alloggio presso l'abitazione del fratello del S..

Va, peraltro, osservato che ai fini della sussistenza di una causa di giustificazione non è necessario che sia fornita la prova piena, oltre ogni ragionevole dubbio, essendo invece sufficiente che sussista perlomeno un ragionevole dubbio al riguardo, come espressamente disposto dall'art. 530, comma 3 seconda parte c.p.p. Pertanto anche a non voler condividere che gli elementi sopra indicati siano in grado di fornire la prova oltre ogni ragionevole dubbio della circostanza sopra indicata, si dovrebbero comunque ritenere in grado di fondare un ragionevole dubbio al riguardo, che impone il medesimo esito assolutorio.

Infine la circostanza sopra indicata, ossia la commissione del fatto di reato da parte dell'imputato sotto la minaccia di perdere lavoro, vitto ed alloggio, deve ritenersi effettivamente integrare la causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all'art. 54, c.p., come correttamente argomentato dalla difesa.

Al riguardo va osservato come l'art. 54, comma 3 c.p. prevede che "la disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma in tal caso del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo".

Quanto agli elementi costitutivi dello stato di necessità appaiono nella specie presenti tutti ossia: 1) la necessità di salvataggio; 2) il pericolo attuale; 3) la non volontarietà dello stesso e la non evitabilità con altri mezzi; 4) il suo riferimento ad un grave danno alla persona; 5) la proporzione tra fatto di reato commesso ed il pericolo medesimo.

L'elemento che nella specie merita di essere approfondito è quello sub 4) perché secondo la tradizionale interpretazione, oggi però minoritaria, per danno grave alla persona rientrano solo i danni relativi all'integrità fisica rigorosamente intesa. Infatti secondo l'interpretazione oggi dominante il concetto di danno alla persona non tollera restrizioni aprioristiche, ma appare idoneo a ricomprendere qualsiasi lesione minacciata ad un bene personale di rilevanza costituzionale e relativo a bisogni essenziali.

In questa prospettiva più volte la giurisprudenza sia di legittimità che di merito, ha attribuito rilevanza sia al diritto all'abitazione (cfr. da ultimo Cass., 11.02.2011, nr. 8724, rv. 249915) sia al diritto al lavoro (cfr. Cass., 02.11.2003, nr. 6200, rv. 197834). Una recente importante decisione della Suprema Corte di Cassazione ha in particolare affermato che "in tema di favoreggiamento personale, la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un'accusa penale nei suoi confronti, ovvero per il timore di essere licenziato e perdere il proprio posto di lavoro, tutelando in tal modo l'esercizio sia del diritto di difesa che del diritto al lavoro, quali manifestazioni della libertà personale di ciascun individuo. (Fattispecie relativa a mendaci informazioni rese dai lavoratori di un'impresa edile nell'ambito di un procedimento penale per violazione di norme antinfortunistiche a seguito di un incidente sul lavoro patito da un operaio straniero)" (cfr. Cass., 16.06.2011, nr. 37398, rv. 250878). Il precedente è importante e rilevante nel caso in esame, benché relativo alle esimenti di cui all'art. 384 c.p., perché la norma appena citata si limita a prevedere ipotesi speciali dello stato di necessità.

Né si può contestare la sussistenza degli ulteriori elementi dello stato di necessità nella situazione di un lavoratore extracomunitario, pur titolare di permesso di soggiorno, che viene espressamente minacciato dal datore di lavoro di perdere non solo il lavoro ma anche il vitto e l'alloggio allo stato garantito dal fratello, qualora il lavoratore non renda false generalità. Del tutto proporzionato appare poi il fatto commesso col pericolo considerando che la gravità concreta del fatto deve essere ridimensionato per effetto dello stesso comportamento dell'imputato che si è spontaneamente presentato presso l'Ufficio del Lavoro, così consentendo la sua piena identificazione e confessando la falsità delle generalità in precedenza rilasciate.

L'imputato va pertanto mandato assolto dal reato ascrittogli perché il fatto è stato commesso in presenza della causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p.

(Torna su ) P.Q.M.

P.Q.M.

Letti gli artt. 442 ss. 530 c.p.p.;

assolve l'imputato dal reato ascrittogli perché il fatto è stato commesso in presenza della causa di giustificazione dello stato di necessità a norma dell'art. 54 c.p.

Rovereto, 21 giugno 2012

Il Cancelliere Il G.U.P.

dott. Riccardo Dies

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