I colleghi di lavoro rispondono del reato di favoreggiamento personale se mentono agli ispettori del lavoro che indagano su un infortunio
Cassazione Penale Sezione 5 Sentenza 24 gennaio 2022 n 2722
Presidente: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO
Relatore: VENEGONI ANDREA Data Udienza: 30/11/2021
Fatto
1. DP.P. e DP.R. venivano tratti a giudizio per il reato di cui all’art. 110, 611 c.p. e 61 n. 2 c.p. perché, dopo che presso i locali della società Allestimenti di DP.P. & c. s.a.s. si era verificato un infortunio sui lavoro ai danni di L.G., costringevano S.A. (dipendente della società Eredi di DP. V., amministrata da DP.R.) e G.P. (dipendente della società Allestimenti come l'infortunato) a dichiarare falsamente in più occasioni alla p.g. che il L.G. non aveva mai prestato attività lavorativa per la società Allestimenti di DP.P., e quindi a commettere il reato di favoreggiamento, questo perché il lavoratore infortunato svolgeva la sua attività “in nero".
DP.P. era anche tratto a giudizio per il reato di cui all'art. 590 c.p. per l'infortunio di cui era rimasto vittima il L.G., in quanto datore di lavoro di quest'ultimo.
3. Il Tribunale di Torre Annunziata riconosceva gli imputati colpevoli dei rispettivi reati.
4. A seguito di appello da parte di entrambi, la Corte d'Appello di Napoli confermava nella sostanza l'impianto accusatorio, anche se riformava la sentenza nel senso di dichiarare prescritte una parte delle dichiarazioni integranti il reato di cui all'art. 611 c.p., perché commesse nel 2012, e il reato di cui all'art. 590 c.p.
5. Nel merito, però, la Corte d'Appello riteneva del tutto attendibili le dichiarazioni della parte lesa L.G. e del S.A., del G.P. e degli altri testi, su cui si basava l'accusa.
6. Contro quest'ultima sentenza ricorrono, con separati atti, DP.P., a mezzo dell'avv. Dario De Falco, sulla base di un motivo, e DP.R., a mezzo dell'avv. Domenico Di Casola, ugualmente sulla base di un motivo.
7. La parte civile L.G. ha depositato conclusioni scritte e nota spese a mezzo dell'avv. Ernesto Sibilio.
Diritto
1. DP.P. denuncia violazione dell'art. 606 c.p.p. lett e) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Il motivo di ricorso riguarda esclusivamente il reato di cui all'art. 611 c.p..
Il DP. lamenta che non sia stata presa in considerazione la sua versione dei fatti secondo la quale egli non era al corrente dell'utilizzo di L.G. nello svolgimento del lavoro in cui riportò l'infortunio. Infatti, egli aveva solo autorizzato S.A., suo dipendente, a farsi aiutare da qualcuno per lo svolgimento del lavoro nel mese di maggio 2012. Dopo di che, non si era più interessato della questione, anche perché assorbito dall'impegno familiare di gestire una malattia della moglie, e non era al corrente del fatto che il S.A. avesse chiesto aiuto ad un proprio parente, il L.G. appunto. In effetti, giunti al pronto soccorso con il ferito subito dopo l'incidente, S.A. e g.p. avevano affermato che il L.G. era rimasto vittima di un incidente stradale ed il DP. non era a conoscenza dell'accaduto, ma per questo motivo erano stati indagati per favoreggiamento. Tuttavia, questo hanno confermato anche in un momento (29.9.2014) in cui non erano più dipendenti dei DP. e quindi non avrebbero più dovuto avere alcun problema ad affermare il reale svolgimento dei fatti.
La Corte d'Appello avrebbe, quindi, dovuto considerare con estremo sospetto il fatto che solo tre giorni dopo, in un interrogatorio del 2.10.2014, gli stessi abbiano cambiato versione, coinvolgendo il DP..
La sentenza, pertanto, sarebbe illogica per non avere valutato attentamente l'attendibilità dei testi ed il fatto che essi avrebbero cambiato versione solo per uscire indenni dall'indagine in cui avevano assunto la posizione di indagati; in tutto ciò, però, non vi sarebbe alcun coinvolgimento dei DP..
La Corte d'Appello avrebbe, ancora, errato anche a non rinnovare l'istruttoria dibattimentale.
2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, verte sostanzialmente su una richiesta di rilettura delle risultanze probatorie e quindi sul merito dei fatti del giudizio.
La sentenza impugnata afferma che le dichiarazioni "veritiere" dei due testi S.A. e g.p. sono, alla fine, del tutto attendibili, anche perché non si comprende che motivo avrebbero avuto i due di mentire per un episodio che non li avrebbe comunque visti indagati.
Si tratta, al riguardo, di ragionamento logico e lineare.
Tutto quello che adduce la difesa nel ricorso (compreso in realtà una sorta di coinvolgimento del S.A. che avrebbe scelto di portare a lavorare il suo parente L.G., certamente in nero, ma su autorizzazione del DP.), attiene, comunque, al fatto, non sindacabile in questa sede. Sotto la veste del vizio di motivazione, infatti, il motivo tende chiaramente ad una rilettura delle risultanze probatorie contestando l'attendibilità dei testimoni e chiedendo a questa Corte di avvalorare un diverso svolgimento dei fatti.
In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta, in realtà, una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen. -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata delle risultanze processuali. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
3. DP.R. denuncia nullità della sentenza per violazione dell'art. 606 lette) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla richiesta difensiva di assoluzione, risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato.
La sentenza da un lato afferma che S.A. e g.p. non avevano riferito a nessuno dell'incidente, ma poi afferma che due ore dopo i DP. li avrebbero contattati per costringerli a dichiarare il falso, senza chiarire come facevano i DP. ad essere al corrente dell'incidente se i due testi non ne avevano parlato con alcuno, come la stessa sentenza evidenzia.
Deduce poi omessa motivazione perché nei motivi di appello la difesa aveva evidenziato che il comportamento di S.A. e g.p. era stato posto in essere da loro liberamente, eventualmente per una sorta di "paura preventiva" verso i DP..
D.P.R., poi, non aveva alcun interesse a costringere i due testi a mentire, non avendo alcun ruolo nella società Allestimenti dove era avvenuto l'infortunio. La sentenza non si sarebbe pronunciata su questi aspetti.
4. Il motivo è inammissibile.
La sentenza di appello, in realtà, implicitamente tratta la questione, avvalorando l'ipotesi della minaccia preventiva, perché poi confermata in azienda al ritorno dall'ospedale.
In sostanza, dalla sentenza si ricava che se all'arrivo in ospedale i due testi S.A. e g.p. non rivelarono la versione dell'incidente sul lavoro di propria iniziativa per timore di ritorsioni successive da parte del datore di lavoro DP., successivamente essi furono effettivamente contattati da quest'ultimo che chiese esplicitamente di non dichiarare agli inquirenti la verità.
Implicitamente, così, la sentenza ha risposto al motivo di appello riconoscendo la fondatezza di quanto detto dai due testi. Comunque l'attendibilità dei testi è, come già evidenziato sopra, questione di merito, e, nel caso di specie, dietro il vizio di motivazione si tende a voler rivalutare l'attendibilità dei testi.
5. Peraltro, va ricordato che le false dichiarazioni poste in essere dai due testi, ed indotte dalla condotta contestata agli imputati, non consistono nell'avere dichiarato all'ospedale, nell'immediatezza, che le lesioni derivavano da un incidente (affermazione compiuta quando non vi è prova che i DP. avessero già parlato con S.A. e g.p.), ma averlo dichiarato ai CC ed agli altri organismi investigativi nel corso delle indagini, in più occasioni (alcune delle quali coperte anche dalla prescrizione dichiarata in giudizio), dopo avere parlato con i DP..
I due dipendenti, quindi, hanno riferito la pressione dei DP. alle dichiarazioni che hanno compiuto agli investigatori, che sono quelle contestate. Il capo di imputazione non contesta le dichiarazioni rese all'ospedale, quelle che sarebbero state compiute per "timore preventivo", ma quelle ai CC, alla Asl ed alla polizia, che indagavano sull'incidente.
La sentenza a pag. 6 e a pag. 9 ricostruisce chiaramente il tutto, evidenziando che è vero che la prima falsa dichiarazione dei due testi ai sanitari dell'ospedale era tale a scopo preventivo, temendo il licenziamento, ma che, successivamente, la pressione dei DP. vi è stata effettivamente, ed è questa che ha determinato i due testi a mentire ancora ai CC, alla Asl ed alla pg, che sono le condotte contestate.
In relazione a ciò, i motivi appaiono tendenti ad una richiesta di rivalutazione delle prove, inammissibile in questa sede.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
I ricorrenti vanno, altresì, condannati alla refusione delle spese di parte civile che, tenuto conto di quanto richiesto da quest'ultima, si liquidano in euro 3.500 oltre accessori.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, altresì, i ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in euro 3.500, oltre accessori di legge.
Così deciso il 30.11.2021