E' discriminatorio il licenziamento per superamento del periodo di comporto del disabile se il datore di lavoro non ha adottato accomodamenti ragionevoli

Corte d'Appello di Trento Sentenza n. 8 del 09/03/2023 pubbl. il 06/07/2023 relatore Cons. Dott. Ugo Cingano
In ragione dei principi di correttezza e buona fede il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore l'imminente scadenza del periodo di comporto
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REPUBBLICA ITALIANA

Corte D’Appello di Trento

Sezione Lavoro

La Corte d’Appello di Trento, riunita in composizione collegialenelle persone dei Signori

Magistrati:

dott. Anna Maria Creazzo Presidente

dott. Ugo Cingano Consigliere rel.

dott. Camilla Gattiboni Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di lavoro in grado di appello promossacon ricorso depositato come in atti ed iscritta a ruolo al 83/2022 R.G. Lav.promossa da:

XXX domiciliato prezzo l’avv. GUARINI GIOVANNI(GRNGNN79A23G916O)in PIAZZA DEL PODESTA’, 10 38068 ROVERETO

che lo assiste e difende come da procura speciale a marginericorso in appello

APPELLANTE

CONTRO

XXX domiciliato presso l’avv.F. VALCANOVER (VLCFPP66D20L378U)in TRENTO VIA GRAZIOLI 31 che lo assiste e difende come damandato in calce Allamemoria difensiva in primo grado

APPELLATO

Oggetto: Reclamo ex art. 1, comma 58, L. 92/2012

Causa ritenuta in decisione sulla base delle seguenti

CONCLUSIONI

DI PARTE APPELLANTE:

Piaccia all’Ecc.ma Corte disattesa ogni contraria istanza edeccezione, in riforma della Sentenza del Tribunale di Rovereto Giudice delLavoro n. 54/2022 pubbl. il 06/06/2022 RG n. 67/2022 Giudice Dr. MicheleCuccaro

- previa, occorrendo, eventuale questione pregiudiziale exart. 267 TFUE avanti la CGUE affinché valuti il contrasto tra l’art. 2110 c.c.,la Direttiva 78/2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone condisabilità;

-previa, occorrendo, eventuale rimessione alla Corte Costituzionale per il giudizio di costituzionalità dell’art. 2110 cc per contrasto con gli artt. 117 e 32 Cost.;

c)accertare e dichiarare la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità e comunque annullare il

licenziamento intimato dalla convenuta  al YYY ricorrente XXX con lettera datata 22 marzo 2021 e conseguentemente:

in via principale:

d)condannare la convenuta YYY in persona del legale rappresentante pro tempore, a reintegrare il ricorrente XXXnel posto di lavoro e a pagargli, a titolo di indennità risarcitoria ex art.18,comma 2 o in subordine comma 4, S.L., una somma pari alla retribuzione globale di fatto maturata e maturanda dalla data del licenziamento a quella dell’effettivareintegrazione, da calcolarsi sull’importo mensile di € 2.137,37 (30) ovvero suldiverso importo ritenuto di giustizia, oltre al versamento dei contributiprevidenziali e assistenziali ai sensi dell’art. 18, comma 2 o in subordinecomma 4, S.L.;

in subordine:

e)condannare la convenuta YYY in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare al ricorrente XXX titolo di indennità risarcitoria ex art. 18, comma 5, S.L., una somma che il Giudice vorrà determinare tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto del ricorrente, da calcolarsi sull’importo mensile di € 2.137,37 (30) ovvero sul diverso importo ritenuto di giustizia.

In via di estremo subordine (ove si consideri applicabile la tutela per aziende sotto i 15 dipendenti e il licenziamento venga considerato non nullo, ma solo illegittimo)

d)condannare la convenuta, alla riassunzione del dipendente o al risarcimento del danno in favore della lavoratrice a causa dell'illegittimo licenziamento subito nella misura massima di legge ex L.108/90e/o 604/66 pari a 2.137,37 (30) ovvero nella diversa misura risarcitoria ex l.108/90 che sarà ritenuta di giustizia.

Con interessi legali e rivalutazione monetaria.

Oltre alla rifusione delle spese del presente giudizio edoneri di legge aumentate fino al 30% ex Decreto Ministero della Giustizia 8marzo 2018, n. 37 con distrazione a favore del difensore patrono antistatario.

In via istruttoria : OMISSIS.

DI PARTE APPELLATA

In via principale di merito: a conferma della sentenzaimpugnata rigettarsi il ricorso perché

infondato.

In via istruttoria subordinata: omissis.

FATTO

Con ricorso ritualmente notificato XXX conveniva in giudizioinnanzi al tribunale di Rovereto, sezione Lavoro, YYY perché venisse emessapronuncia dichiarativa/accertativa/della illegittimità del licenziamentointimatogli il 22.03.2021 per asserito superamento del periodo di comporto.

Il ricorrente, assunto in data 20.09.2004 come operaiometalmeccanico, dopo un lungo periodo di assenza dal lavoro per malattia -documentata dal 20 luglio 2019 sino alla data di cessazione del rapporto - perdiabete mellito di tipo 2 in scarso compenso metabolico; esiti di amputazione del1 raggio del piede dx per flemmone - riteneva tale licenziamento discriminatorioin quanto irrogato a persona portatrice di handicap, ovvero disabile, secondola definizione comunitaria.

E lamentava che YYY non lo avesse preventivamente informatodella imminente scadenza del periodo di comporto, onde consentirgli di fruiredi aspettativa di 24 mesi non retribuita come previsto dal CCNL di riferimento.

Si costituiva ritualmente parte convenuta, che insisteva peril rigetto della domanda.

All’esito dell’istruttoria, veniva pronunciata sentenza conla quale il tribunale rigettava la domanda con condanna alle spese, fondandoessenzialmente la sintetica decisione sulla assenza di prova dello stato didisabilità, in quanto non certificato prima della cessazione del rapporto;osservava altresì che non sussiste alcun obbligo normato del datore di lavoro diinformare il lavoratore circa il periodo di comporto residuo prima del suo completamento.

Appellava la detta sentenza il XXX al fine di ottenernepronuncia di riforma.

Si costituiva parte appellata che chiedeva il rigettodell’impugnazione.

Indi la causa era assegnata a sentenza e decisa –previo scambio di memorie in trattazione scritta come da provvedimento in atti emesso sulla scorta della normativa relativa al Covid 19 -come da dispositivo del quale era disposta la pubblicazione in via telematica il giorno stesso dell’udienza.

MOTIVI

Premessa.

La problematica sottesa alla presente vertenza attiene allaverifica della sussistenza di una c.d. discriminazione indiretta che siverifica allorquando l’applicazione, in virtu’ di norme o prassi, di untrattamento formalmente paritario, generi una posizione di particolare svantaggioper taluni soggetti, verso i quali è quindi necessario approntare unadisciplina differenziale.

Secondo la disciplina europea è prevista una peculiaretutela per queste situazioni ed i datori di lavoro sono obbligati, in base allelegislazioni nazionali, ad adottare misure adeguate ( cd. Soluzioni oaccomodamenti ragionevoli) per consentire alle persone con “disabilità” diaccedere al lavoro o di conservarlo nei limiti delle massime disponibilità ed apatto che ciò non debba comportare per il datore oneri sproporzionati.

La direttiva CE 200/78, che ha enunciato vari principi inmateria, è stata recepita nell’ordinamento italiano con l’inserimento nel DLGS216/03 dell’art. 3 comma 3. Direttiva CE 200/78, art.2:

Nozione di discriminazione

1. Ai fini della presente direttiva, per «principio dellaparità di trattamento» si intende l'assenza di qualsiasi discriminazionediretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui

all'articolo 1.

2. Ai fini del paragrafo 1:

a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base diuno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1, una persona è trattata menofavorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in unasituazione analoga;

b) sussiste discriminazione indiretta quando unadisposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere inuna posizione di particolare svantaggio le persone che professano unadeterminata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di unparticolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolaretendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi sianooggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati peril suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

ii) nel caso di persone portatrici di un particolarehandicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui siapplica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale adadottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5, perovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o taleprassi.

5. La presente direttiva lascia impregiudicate le misurepreviste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sononecessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell'ordine pubblico, allaprevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertàaltrui.

Direttiva CE Articolo 5 :

Soluzioni ragionevoli per i disabili.

Per garantire il rispetto del principio della parità ditrattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significache il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delleesigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere adun lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere unaformazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoroun onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionataallorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadrodella politica

dello Stato membro a favore dei disabili.

Art 3 comma 3 bis dlgs 216/03:

Al fine di garantire il rispetto del principio della parita'di trattamento delle persone con disabilita', i datori di lavoro pubblici eprivati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dallaConvenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita',ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, pergarantire alle persone con disabilita' la piena eguaglianza con gli altrilavoratori. I datori di lavoro pubblici devono provvedere all'attuazione delpresente comma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con lerisorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Art. 2 dlgs 216/03 :

Nozione di discriminazione

1. Ai fini delpresente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, perprincipio di parita' di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazionediretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, deglihandicap, dell'eta' o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che nonsia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, cosi' come di

seguito definite:

a) discriminazionediretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, pereta' o per orientamento sessuale, una persona e' trattata meno favorevolmentedi quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;

b) discriminazioneindiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto oun comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone cheprofessano una determinata religione o ideologia di altra natura, le personeportatrici di handicap, le persone di una particolare eta' o di un orientamentosessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.

2. E' fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazionee norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25luglio 1998, n. 286.

3. Sono, altresi',considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestieovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cuiall'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignita' di unapersona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante odoffensivo.

4. L'ordine didiscriminare persone a causa della religione, delle convinzioni personali, dell'handicap,dell'eta' o dell'orientamento sessuale e' considerata una discriminazione aisensi del comma 1.

Molti sono gli studi che nel frattempo sono stati intrapresie variegata la giurisprudenza, specie di merito, in materia.

In sintesi gli argomenti che richiedono approfondimenti –nella vertenza in oggetto – si possono suddividere in:

a)definizione di handicap o disabilità;

b)accomodamenti ragionevoli;

c)operatività in concreto della disciplina.

Sub a)Handicp-disabilità.

Illuminante la giurisprudenza formatasi nell’ordinamentoitaliano.

In tema di tutela del lavoratore disabile, una controversiarientra nell'ambito di applicazione della Direttiva n. 78/2000/CE del 27novembre 2000, sulla parità di trattamento in materia di occupazione, ovesussista il presupposto oggettivo della attinenza della controversia stessaalle condizioni di lavoro e sia presente una condizione di"handicap", la cui nozione, ricavabile dal diritto eurounitario comeinterpretato dalla CGUE, presuppone la presenza di una limitazione, risultanteda menomazioni fisiche, mentali o psichiche di lunga durata che, in interazionecon barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettivapartecipazione dell'interessato alla vita professionale su base di uguaglianzacon gli altri lavoratori: cass. 6798/18.

La nozione di disabilità, anche ai fini della tutela inmateria di licenziamento, deve essere costruita in conformità al contenutodella Direttiva n. 78/2000/CE del 27 novembre 2000, sulla parità di trattamentoin materia di occupazione, come interpretata dalla CGUE, quindi qualelimitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali opsichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolarela piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionalesu base di uguaglianza con gli altri lavoratori : cass. 13649/19.

La nozione di disabilità, anche ai fini della tutela inmateria di licenziamento, deve essere ricostruita in conformità al contenutodella direttiva n. 78/2000/CE del 27 novembre 2000, sulla parità di trattamentoin materia di occupazione, quindi quale limitazione, risultante in particolareda menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione conbarriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazionedella persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza congli altri lavoratori: cass. 29289/19.

La Corte di Giustizia ( sentenza Conejero e altre) definiscehandicap (disabilità) una “limitazione di capacità risultante da duraturemenomazioni fisiche, mentali o psichiche” idonea a incidere sulla pienapartecipazione della persona alla vita professionale, in situazione di paritàcon gli altri soggetti ( punti 28-33).

Disabilità è’ quindi una definizione molto ampia cheprescinde dal riconoscimento formale, cioè documentale, di una invalidità,intesa come riduzione - accertata da organi a ciò preposti- della capacitàlavorativa.

Si impone a questo punto la distinzione tra handicap emalattia e il momento distintivo è rappresentato dalla permanenza dellapatologia e dalla lunga durata.

Secondo la direttiva CE 200/78 sono ostative le legginazionali che consentano di licenziare dopo lunghe assenze, anche segiustificate, allorquando esse siano dovute a

malattie/assenze qualificabili come disabilità o handicap.

Variegata è la discussione dottrinale e giurisprudenzialesulla possibilità per il datore di lavoro di conoscere la diagnosi dellamalattia, in un sistema – quale quello dello Stato italiano - improntato allariservatezza piu’ rigorosa e quindi si pone il problema di come sia possibileipotizzare una discriminazione a fronte di una conoscibilità preclusa dalla disciplinavigente.

Sub b)Accomodamenti ragionevoli.

Si tratta, come recita la disposizione sopra riportata, dideterminazioni imprenditoriali rivolte al lavoratore “disabile”, finalizzate agarantire parità di trattamento con gli altri lavoratori ed a mantenere il loroposto di lavoro il piu’ possibile, compatibilmente con la situazionepsicofisica derivante dalla inabilità.

Ora, tralasciando per il momento il problema (concreto) dicome si possa esigere l’adozione di soluzioni ragionevoli da parte di chi nonpossa conoscere la connessione tra malattia e disabilità del dipendente, ildibattito si incentra sulla individuazione delle soluzioni che il datore dilavoro deve ( o può) adottare per evitare la discriminazione indirettaderivante dal calcolo, nel periodo di comporto, delle assenze imputabili alla disabilità,soluzioni che non si identificano necessarimente con mansioni compatibili.

La difficoltà è accentuata, al lato pratico, dall’eventuale( a seconda delle situazioni concrete) assenza di una disciplina legale e/ocollettiva che garantisca una effettiva protezione del lavoratore disabilecontro un licenziamento per superamento del periodo di comporto; e che nonrenda sproporzionati gli oneri finanziari del datore di lavoro ( cfr direttivaCE 200/78 art.5).

La soluzione datoriale dovrà poi esser commisurata al casoconcreto, tenendo conto delle fonti collettive che già stabiliscano delletutele per il lavoratore ma che eventualmente non siano sufficientementerispettose delle indicazioni comunitarie.

E poi infine sarà da verificare se un periodo di comportoparticolarmente lungo sia effettivamente in grado di incidere sulla posizionedel lavoratore protetto dal motivodiscriminatorio, cioè se da tale lunghezzadebba proprio derivare una disabilità.

Alcune problematiche che si possono porre non sonoindifferenti:

-laddove i periodi di comporto previsti dai contratticollettivi siano già piu’ lunghi di quelli previsti dalle legislazioni cheriguardano i casi oggetto delle richiamate decisioni UE (Danimarca e Spagna);

-come vada fatta la distinzione tra assenze per malattia ele assenze determinate dallo stato di handicap;

-come debba essere operato il bilanciamento tra gliinteressi del datore di lavoro, obbligato a conservare il posto ad un soggettoche non possa esplicare alcuna attività utile, pur in assenza di peculiarioneri finanziari diretti, e quelli del lavoratore, cioè di salvaguardare ilmantenimento del posto.

c)Operatività della disciplina.

La discriminazione dovrebbe, in linea di principio, operareobiettivamente, rendendo irrilevante la mancata conoscenza della natura dellapatologia che giustifica l’assenza. La nullità del licenziamentodiscriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme didiritto interno, quali l'art. 4 della l. n. 604 del 1966, l'art. 15 st.lav. e l'art.3 della l. n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenutenella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere, sicché,diversamente dall'ipotesi di licenziamento ritorsivo, non è necessaria lasussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la naturadiscriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, purlegittima, quale il motivo economico :cass 6575/16.

Questa impostazione pone peraltro delle difficoltàapplicative pratiche perché, se il datore non è in grado di conoscere la naturadella patologia ( norme sulla privacy), viene da chiedersi come possa eglistabilire il nesso causale tra assenza prolungata e disabilità, ovvero il nessocausale tra le due situazioni e quindi rendersi conto della necessità di rispettareil principio del ragionevole accomodamento.

Invero già la giurisprudenza si è posta l’interrogativo,giungendo ad affermare il principio secondo cui In tema di licenziamentodiscriminatorio, in forza dell'attenuazione del regime probatorio ordinariointrodotta per effetto del recepimento delle direttive n. 2000/78/CE, n.2006/54/CE e n. 2000/43/CE, così come interpretate dalla CGUE, incombe sullavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamentoche assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizionianaloghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi,mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idoneead escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoriadel recesso: cass 23338/18.

Il caso in esame.

Una prima considerazione sviluppata nell’atto d’appello (pg. 30), dopo la dissertazione sulla disciplina comunitaria e normativa,consiste nella rilevazione che il datore di lavoro, senza incorrere in un onere finanziario spropositato, avrebbe potuto adottare come accomodamento un avviso al lavoratore della prossima scadenza del periodo di comporto al fine di consentirgli di fruire della aspettativa non retribuita consentita dal CCNL metalmeccanici( art. 2 sez. quarta, Titolo VI) con la conseguenza che si sarebbe posticipata di24 mesi la scadenza del periodo di comporto; ovvero fargli completare i giornidi ferie e permessi maturati e non goduti.

Viene riportato il testo del CCNL laddove si prevede che, al superamento dei limiti di conservazione del posto, il lavoratore può usufruire di una aspettativa per malattia senza retribuzione per un massimo di 24 mesi, e ciò con particolare riguardo a patologie particolarmente gravi; e nel passo incui impone all’azienda di fornire le informazioni necessarie alla esatta conoscenza della situazione riguardante la conservazione del posto di lavoro.

CCNL.

«Al superamento dei limiti di conservazione del posto di cui al paragrafo precedente il lavoratore potrà usufruire, se previamente richiesto in forma scritta, dell'aspettativa per malattia, per un periodo continuativo e non frazionabile, prolungabile fino ad un massimo di 24 mesi per una sola volta nel triennio di riferimento, periodicamente documentata, fino alla guarigione clinica debitamente comprovata, che consenta al lavoratore di assolvere alle precedenti mansioni. Durante il periodo di aspettativa non decorrerà retribuzione, né si avrà decorrenza di anzianità per tutti gli istituti. Il lavoratore in aspettativa con anzianità di servizio superiore ad 8 anni potrà chiedere l'anticipazione del trattamento di fine rapporto. Le assenze determinate da patologie gravi che richiedono terapie salvavita, che comportano una discontinuità nella prestazione lavorativa, che comunque non fanno venir meno la capacità di prestazione lavorativa anche se intervallate nel tempo, consentiranno al lavoratore all'atto del superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro di poter fruire dell'aspettativa, anche in maniera frazionata, in rapporto ai singoli eventi terapeutici necessari. A tali fini il lavoratore fornirà all'azienda le dovute informazioni che l'azienda medesima tratterà nel rispetto delle norme in materia sulla tutela della privacy» (01 p. 179).

E inoltre : «Su richiesta del lavoratore, l'azienda, per un massimo di due volte nell'anno solare, fornisce entro venti giorni dalla richiesta le informazioni necessarie alla esatta conoscenza della situazione riguardante la conservazione del posto di lavoro. La situazione dei lavoratori sottoposti a trattamento di emodialisi, o affetti da morbo di Cooley nonché dei lavoratori affetti da neoplasie, da epatite B e C ovvero da gravi malattie cardiocircolatorie, nonché casi particolari di analoga gravità, sarà considerata dalle Aziende con la massima attenzione facendo riferimento alle disposizioni assistenziali vigenti».

La particolarità di entrambe le disposizioni è rappresentata dalla previsione che di queste situazioni il lavoratore possa usufruire solo sene abbia fatto preventiva richiesta in forma scritta, per la aspettativa, e genericamente (senza una forma particolare) per quanto riguarda l’ottenimento delle informazioni.

Richiesta che, all’invocato fine, il sig. XXX non ha fatto o perlomeno non ha detto di averla fatte né lo ha provato.

E non sembra sia il caso di poter affermare che egli ignorava questa procedura dal momento che in precedenza, in corso di rapporto,lo stesso aveva beneficiato di ferie/permessi per circa un paio di mesi, che gli erano stati concessi dall’azienda proprio a seguito di sua domanda ( doc 17ric.).

E’ poi pacifico, e ne dà atto lo stesso appellante, che non esiste alcuna norma che imponga al datore di lavoro, in via autonoma, di preavvertire il lavoratore della imminente scadenza del periodo di comporto.

Ciononostante una soluzione favorevole si appalesa possibile facendo ricorso ai concetti di buona fede e correttezza nella esecuzione della prestazione, principio universale che ovviamente va applicato ad ambo le parti di un rapporto contrattuale.

Il preavviso dell’imminente scadenza del periodo massimo di comporto viene ritenuto dall’appellante riconducibile al concetto di ragionevole accomodamento, cioè come uno sforzo datoriale di adeguamento ai principi sopra riportati di fare tutto il possibile per consentire la conservazione del posto.

Dal lato datoriale si tende ad escludere mala fede o scorrettezza nel contesto di una normativa già molto articolata, che prevede numerose tutele che il datore deve conoscere e rispettare, e che sono state poste proprio a tutela del prestatore, con la conseguenza che, laddove nessun obbligo è stato specificamente e chiaramente disposto, ciò sta a significare che si tratta di situazioni che esulano dal contesto di correttezza nello svolgimento del contratto di lavoro.

Ed anzi proprio la circostanza che sia stata prevista la richiesta (scritta) del lavoratore per conoscere le situazioni afferenti la durata residua del suo comporto e il diritto di aspettativa sta a significare, secondo la difesa datoriale, che ciò è stato approntato nell’ottica di un equo bilanciamento tra le rispettive posizioni.

Tuttavia, nel caso specifico, a differenza di altre vertenze esaminate nella giurisprudenza di merito e quindi prescindendo dalle problematiche sinteticamente illustrate in precedenza sulla non conoscibilità della patologia, il datore di lavoro era stato tempo per tempo adeguatamente informato della malattia, (diabete, amputazione di un dito del piede e problemi visivi), come dimostrano sia il citato doc. 17 che le mail di cui al doc.24.

A questo punto si pongono quindi due questioni:

a) se era conoscibile, cioè individuabile, da parte deldatore il nesso causale tra patologia e prolungata assenza dal lavorosussumibile nell’ambito di una disabilità rilevante ai fini della direttiva CEe normativa richiamata;

b)se l’azienda, pur non obbligata da norme specifiche, maconsapevole dello stato di disagio in cui si trovava il proprio dipendente, sisia trovata nella situazione di approntare un accomodamento ragionevole, qual èquello già previsto dalla contrattazione collettiva, pur in difetto dellaprevista domanda del prestatore e nel rispetto del richiamato art. 3 comma 3bis dlgs 216/03 : Al fine di garantire il rispetto del principio della paritàdi trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici eprivati sono tenuti a adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dallaConvenzione delle nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità,ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009 n., 18 nei luoghi di lavoro pergarantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altrilavoratori.

Quindi si può prescindere dalla disciplina che non impone aldatore la preventiva comunicazione della imminente scadenza del periodo dicomporto e si deve, di contro, ritenere che il datore debba adoperarsi pertutelare il proprio lavoratore disabile nel mantenimento, nei limiti delpossibile, del posto, tanto piu’ laddove vi sia una soluzione prevista dallacontrattazione collettiva e che sia priva di oneri per l’azienda, cioè una soluzionenon comportante un onere finanziario spropositato ( art. 5 direttiva), anzinella specie nessun onere finanziario.

Del resto il fatto che il CCNL preveda la domandadell’interessato è stata evidentemente inserita per sottolineare laobbligatorietà delle informazioni, se richieste, ma non che le informazionidebbano esclusivamente esser subordinate alla presentazione di una domanda enon possano essere trasmesse anche su iniziativa del datore.

Soluzioni possibili di ragionevole accomodamento nellavicenda in esame.

Sub a)

Dalla documentazione prodotta ( doc. 17 e 24) risulta chel’azienda conosceva la “malattia” del XXX anche per via di comunicazioni traufficio personale e proprietà la quale per i casi particolari, anche in altresituazioni, si era sempre tenuta informata dello svolgersi delle assenze deiproprio dipendenti.

Aver informato il datore “circa gli specifici problemi disalute” non è asserzione generica come vorrebbe l’appellata; il lavoratore, disua iniziativa e pur non essendo tenuto a farlo, si è preoccupato di informareil datore del proprio stato di salute, periodicamente e non una volta soltanto.

La YYY nel contesto di un espletamento del rapporto secondocorrettezza e buona fede, si trovava quindi nella condizione di potersi renderconto della gravità della situazione, totalmente inabilitante, e diintraprendere idonee iniziative di tutela.

Tra queste anche quella di comunicare preventivamente allavoratore l’imminente scadenza del periodo di comporto ovvero sollecitarlo apresentare la richiesta scritta prevista dal CCNL.

Si ribadisce: sebbene nessun obbligo sia previsto dallalegge, si tratta di un comportamento gravante sul datore, e del quale costuideve essere consapevole proprio per il ruolo rivestito, conforme ad unosvolgimento del vincolo contrattuale nel rispetto dei suindicati principi dicorrettezza e buona fede.

L’adempimento del lavoratore all’obbligo di cooperazione,ovverosia nello specifico l’assolvimento dell’onere della prova su di luiincombente ( incombe sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattoredi rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quelloriservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo unacorrelazione significativa tra questi elementi (cass. 23338/18)., rende esigibilel’obbligo del datore di espungere dal comporto le giornate di assenza correlatealla inabilità, o di concedere la aspettativa prevista anche non retribuita,essendo egli stato messo in grado di conoscere le reali condizionidell’handicap del lavoratore.

Nel caso in esame la soluzione per il datore è semplificatadalla circostanza che la specifica domanda svolta dal lavoratore è circoscrittaalla prospettazione di un suo diritto ad essere posto in aspettativa nonretribuita (CCNL Metalmeccanici).

In altre parole il datore è posto nella situazione direndersi conto che non si trattava di semplice una malattia ma di una patologiache genera disabilità ( anche se non trasfusa in invalidità ex lege), in guisada indurlo a porre in essere tutti gli accorgimenti consentiti dalla normativain vigore.

Una indagine a mezzo di CTU per l’accertamento del nessocausale non si ritiene quindi necessario: la valutazione della prova del nessodeve essere svolta con riguardo al momento in cui, scaduto il comporto, ildatore avrebbe potuto e quindi dovuto ricorrere ai ragionevoli accomodamenti,in quanto messo in grado dal suo dipendente di rendersi conto della gravitàinvalidante della situazione.

Nello specifico si tratta di diabete di tipo 2 cui però èanche conseguita la amputazione di un arto: una patologia estremamente grave,per quanto diffusa tra la popolazione, che ha costretto il lavoratore a lungheassenze dal lavoro, le cui cause però sono sempre state comunicate al propriodatore.

E’ noto che la giurisprudenza di legittimità pone a caricodel datore l’onere di provare di aver adottato senza successo taliaccomodamenti ( cass. 6497/21 citata in appello), come sottolineatodall’appellante, e tale onere, che è scattato nel caso specifico nel momento incui il lavoratore ha assolto quello a proprio carico, non è stato assolto.

Non va invero nemmeno trascurato che la YYY non ha fornitoalcuna prova da cui desumere che il ricorso ad un ragionevole accomodamento,nel senso prospettato eì richiesto, avrebbe potuto condurre a graviproblematiche di natura organizzativa e imprenditoriale, impedendo per es.l’assunzione stabile di altri dipendenti in identiche mansioni, ovvero cheavrebbe dato luogo ad oneri spropositati.

Ogni ulteriore motivo è assorbito.

SPESE DI CAUSA.

Quanto alle spese di causa, attesa la complessità del caso ela assenza di chiari orientamenti giurisprudenziali, si ritiene che essedebbano essere interamente compensate.

p.q.m.

La Corte, definitivamente pronunciando nella causa civile n.RG LAV, così provvede: in riforma della sentenza del tribunale di Rovereto,Giudice del lavoro, n. 54/2022 pubblicata in data 06.06.2022, così provvede:

1)dichiara la nullità del licenziamento, in quantodiscriminatorio, intimato da YYY  neiconfronti di XXX

2)condanna YYY a reintegrare XXX nel posto di lavoro ed apagargli, a titolo di indennità risarcitoria ex art. 18 comma 2 L. 300/1970,una somma pari alla retribuzione globale di fatto maturata e maturanda dalladata del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, da calcolarsisull’importo mensile di € 2.137,37, oltre al versamento dei contributiprevidenziali ed assistenziali;

3)compensa interamente tra le parti le spese di ambo i gradidi giudizio.

Trento 09.03.2023

Cons.est.

Dr. Ugo Cingano Il Presidente

Dr.ssa Anna MariaCreazzo

Sentenza n. 8/2023 pubbl. il 06/07/2023 RG n. 83/2022

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