E' discriminatorio il CCNL che fissa limiti massimi di malattia identici per lavoratori disabili e non ai fini del superamento del periodo di comporto

Cassazione Civile Sezione Lavoro Ordinanza 21/12/2023 n 35747 Relatore Cons. Dott. Riverso
Il licenziamento per superamento del periodo di comporto non differenziato fra lavoratori disabili e normodotati è discriminatorio e nullo
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Cassazione Civile Sezione Lavoro Ordinanza 21/12/2023 n35747

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE LAVORO

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. DORONZO Adriana - Presidente -

 

Dott. RIVERSO Roberto - rel. Consigliere -

 

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere -

 

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere -

 

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere -

 

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

sul ricorso 24727-2020 proposto da:

 

(Omissis) Spa in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN NICOLA DA TOLENTINO 67,presso lo studio Legance - Avvocati Associati, rappresentata e difesadall'avvocato TOMMASO LI BASSI;

 

- ricorrente -

 

contro

 

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LACANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difesodall'avvocato LUIGI MARIO BOLLINI;

 

- controricorrente -

 

avverso la sentenza n. 480/2020 della CORTE D'APPELLO diMILANO, depositata il 31/07/2020 R.G.N. 437/2020;

 

udita la relazione della causa svolta nella camera diconsiglio del 08/11/2023 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO.

 

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Milano con la sentenza n. 480/2020 harespinto il reclamo avverso la sentenza del tribunale che ha confermatol'accoglimento del ricorso proposto da A.A. e dichiarato nullo, perdiscriminatorietà, il licenziamento intimatogli da (Omissis) Spa persuperamento del periodo di comporto, ordinando la sua reintegra nel posto dilavoro.

 

Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano lasocietà (Omissis) Spa ha proposto ricorso per cassazione con 5 motivi, cui haresistito A.A. con controricorso.

 

La Corte ha riservato la motivazione all'esito della cameradi consiglio, ai sensi dell'art. 380bis1 c.p.c., comma 2, u.p..

 

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso, la società deduceviolazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 2, comma 1,lett. b), ex art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la sentenza impugnataautomaticamente riconosciuto il lavoratore come portatore di handicap inragione delle sue patologie e della sua disabilità.

 

Il motivo è infondato.

 

Premessa la nozione di disabilità alla stregua delladirettiva 2000/78 in materia di handicap, su cui si ritornerà in seguito, laCorte milanese ha affermato che la natura e la gravità delle plurime patologiedi cui il lavoratore risultava cronicamente affetto (ipovisus per retinitepigmentosa, cardiopatia ipertensiva, insufficienza renale cronica, sindrome diKlinefelter) implicassero in modo stabile, duraturo e tendenzialmenteingravescente quanto meno una difficoltà nell'esercizio della sua attività lavorativa(del resto coerentemente con un grado di accertata invalidità civile pariall'à85%), oltre che la necessità di fruire di ricorrenti periodi di cura eriposo.

 

Non solo; nella stessa pronuncia la Corte di appello ha pureproceduto, sulla base della documentazione medica prodotta in giudizio,all'accertamento del nesso di causa tra le patologie sottese alla disabilità ele assenze per malattia che hanno portato al licenziamento; evidenziando comela maggior parte delle assenze per malattie, elencate nella lettera dilicenziamento, avessero trovato causa nell'invalidità del lavoratore.

 

Non è dunque fondato affermare che la Corte abbia"automaticamente" identificato il ricorrente come portatore dihandicap in ragione delle proprie patologie e della sue assenze per malattia;avendo piuttosto accertato che le malattie del ricorrente avessero provocatoanche una limitazione di capacità risultante da durature menomazioni (fisiche,mentali o psichiche) e che venisse perciò integrata - in ragione di talilimitazioni e durature menomazioni - la nozione di disabilità alla stregua delladirettiva 2000/78 Ce in materia di handicap, così come riscontrata anche dallagiurisprudenza di questa Corte di legittimità, di cui subito si dirà, inarmonia con quella proveniente dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

 

2.- Con il secondo motivo si deduce violazione falsaapplicazione dell'art. 2110 nonchè dell'art. 42 del CCNL Utilitalia inrelazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. per avere la sentenza impugnataritenuto discriminatorio il licenziamento del lavoratore disabile nonostanteegli avesse pacificamente superato il periodo di comporto previsto dallesuddette previsioni normative.

 

3.- Col terzo motivo si prospetta la violazione e falsaapplicazione dell'art. 42 del CCNL applicabile alla luce degli artt. 1367 c.c.e del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3, comma 3bis in relazione all'art. 360, n.3 per aver ritenuto priva di effetto e inapplicabile ai lavoratori disabilitale norma.

 

4.- Con il quarto motivo si prospetta violazione e falsaapplicazione del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3 in relazione all'art. 360c.p.c., n. 3 per avere la sentenza impugnata ritenuto discriminatorio illicenziamento del lavoratore disabile signor A.A. nonostante il datore dilavoro abbia perseguito una finalità legittima e riconosciuta dall'ordinamento.

 

5.- Col quinto motivo si lamenta la violazione e falsaapplicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 15, 18, comma 1, art. 2697 c.c. eD.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28 per aver ritenuto discriminatorio illicenziamento in palese assenza di qualsivoglia intento discriminatorio daparte di (Omissis).

 

6.- I motivi di ricorso 2, 3, 4 e 5 del ricorso possonoessere esaminati unitariamente per la connessione delle censure; essi sonoinfondati alla stregua di quanto osservato dalla recente pronuncia di questaCorte di cassazione n. 9095 del 31.3.2023, il cui testo di seguito si riportaanche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto resa in unafattispecie sovrapponibile alla presente, essendo relativa ad un caso dilicenziamento per superamento del periodo di comporto di un disabile, pure oggettodi una precedente sentenza della stessa Corte di appello di Milano (il cuipercorso argomentativo è stato testualmente ripreso anche nella pronuncia diappello oggetto del presente giudizio, che è relativo alla stessa impresaricorrente (Omissis) Spa ed alla medesima normativa contrattuale collettivaapplicabile).

 

7.- La sentenza di legittimità n. 9095 del 31.3.2023, appenacitata, ha in effetti affrontato e risolto tutte le questioni giuridichesollevate nei suddetti motivi di ricorso, in relazione: a) alla nozione diportatore di handicap rilevante ai sensi della direttiva UE 2000/78 (recepitain Italia con il D.Lgs. n. 216 del 2003) ed al connesso rischio di assentarsidal posto di lavoro per malattia; b) alla portata discriminatoria dell'art. 42del CCNL allorchè l'ordinario periodo di comporto previsto dalla normacollettiva venga applicato anche per calcolare il periodo di assenza di unlavoratore disabile; c) alla nozione di discriminazione indiretta; d) allamancanza di accomodamenti ragionevoli nella ipotesi di un periodo di comportodi eguale durata per lavoratori abili e disabili; e) al fatto che un terminemassimo di comporto possa o debba essere fissato anche per il disabile, dallegislatore o dalle parti sociali, anche al fine di contrastare fenomeni diassenteismo dovuto ad eccessiva morbilità, attraverso mezzi appropriati enecessari, e quindi proporzionati; f) alla rilevanza oggettiva delladiscriminazione ed alla irrilevanza dell'intento discriminatorio in capo ad(Omissis).

 

8.- Rispetto a tale ultima questione, relativa alladimensione oggettiva della discriminazione va solo evidenziato - quanto allaconoscenza dei motivi delle assenze del lavoratore da parte di (Omissis) - chenella presente causa risulta altresì, in base alla stessa sentenza della Cortedi appello di Milano qui impugnata, che lo stato di disabilità del lavoratorefosse un dato pure conosciuto dal datore di lavoro per essersi egli difeso nelgiudizio sostenendo di aver sempre adibito il lavoratore a mansioni compatibilicon il suo stato di salute (pag. 13, rigo 18 della sentenza).

 

Pertanto, risulta comprovato nel presente giudizio che aldatore di lavoro ricorrente fossero note sia la situazione di assenza ripetutadel lavoratore per malattia, sia la sua condizione di disabilità (e pertanto ilsuo rischio di assentarsi maggiormente dal lavoro per morbilità). Si tratta difatti certi, specifici e obiettivamente verificabili in virtù dei quali si puòdunque ragionevolmente affermare - contrariamente a quanto si sostienereiteratamente nei motivi di ricorso - che il medesimo datore di lavoro potessesenz'altro prevedere, attraverso una valutazione combinata di entrambe lecircostanze, che la condizione di disabilità del lavoratore si ponesse, comeprobabile fattore causale, all'origine delle assenze dal lavoro di cui sidiscute; sicchè il datore, in base a diligenza e buona fede, fosse pure tenutoad agire sul piano della disciplina del rapporto ed organizzativo - ancheattraverso "soluzioni ragionevoli" - per neutralizzarne oridimensionarne la portata ai fini del computo del comporto del lavoratoredisabile, evitando così che si producesse il risultato discriminatorio vietatodi cui si è discusso nella causa.

 

9.- Sulla scorta di tali premesse, va quindi richiamata lacitata sentenza n. 9095/2023 la quale ha affermato il seguente principio didiritto, così sintetizzato in massima: "In tema di licenziamento,costituisce discriminazione indiretta l'applicazione dell'ordinario periodo dicomporto al lavoratore disabile, perchè la mancata considerazione dei rischi dimaggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza delladisabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo del periododi comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolaregruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio.(Principio affermato in relazione al periodo di comporto previsto dall'art. 42,lett. b), del c.c.n.l. Federambiente del 17 giugno 2011)".

 

10.- In tale direzione è stato quindi osservato nelprecedente di legittimità sopra citato, che la controversia riguardasse appuntol'interpretazione e la portata dell'art. 42 CCNL Federambiente applicato alrapporto che, per quanto in questa sede rileva, alla lett. B("Determinazione del periodo di conservazione del posto di lavoro:comporto breve e comporto prolungato") prevede: "1. Nei casi diinterruzione del servizio dovuta a infermità per malattia o infortunio non sullavoro debitamente certificata, il lavoratore, non in prova, ha diritto allaconservazione del posto per un periodo, definito comporto breve, di 365 giornicalendariali. Il suddetto periodo di conservazione del posto si intenderiferito al cumulo delle assenze verificatesi nei 1.095 giorni precedenti ogninuovo ultimo episodio morboso.

 

2. Nell'ipotesi in cui il superamento del periodo diconservazione del posto di cui al comma 1 sia determinato da un unico eventomorboso continuativo, debitamente certificato, comportante un'assenzaininterrotta, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per unulteriore periodo di 180 giorni calendariali. Di conseguenza il periodocomplessivo di conservazione del posto, definito comporto prolungato, sarà di545 giorni calendariali, sempre riferito al cumulo delle assenze verificatesinei 1.095 giorni precedenti ogni nuovo ultimo episodio morboso (...) 8. Entroil mese di gennaio di ogni anno solare, l'azienda fornisce informazioni sullasituazione relativa alla conservazione del posto di lavoro, con riguardo ailavoratori che hanno accumulato assenze per infermità pari o superiori a 250giorni calendariali nei 1.095 giorni calendariali precedenti la data dellacomunicazione aziendale". 11. L'applicazione della norma contrattualecollettiva in questione al licenziamento del lavoratore dipendente nel caso inesame, per superamento del periodo di comporto breve, è stata ritenuta dallaCorte di merito discriminatoria, per avere la società trascurato, nell'adottarela decisione di recesso, "di distinguere assenze per malattia ed assenzeper patologie correlate alla disabilità".

 

12.- E' stata, precisamente, ravvisata un'ipotesi didiscriminazione indiretta, che ricorre, ai sensi del D.Lgs. n. 216 del 2003,art. 2, comma 1, lett. b), (normativa di attuazione della direttiva 2000/78/CEdel Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per laparità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro)"quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o uncomportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professanouna determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici dihandicap, le persone di una particolare età o nazionalità o di un orientamentosessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone"(testo vigente, di trasposizione dell'art. 2, paragrafo 2, lett. b, delladirettiva 2000/78/CE); ciò valorizzando, segnatamente, la sentenza CGUE del 18gennaio 2018, che ha affermato che l'art. 2, paragrafo 2, lett. b), i), delladirettiva 2000/78/CE deve essere interpretato nel senso che osta a unanormativa nazionale in base alla quale un datore di lavoro può licenziare unlavoratore in ragione di assenze intermittenti dal lavoro, sebbenegiustificate, nella situazione in cui tali assenze sono dovute a malattie imputabilialla disabilità di cui soffre il lavoratore, a meno che tale normativa, nelperseguire l'obiettivo legittimo di lottare contro l'assenteismo, non vada aldi là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo, circostanza chespetta al giudice del rinvio valutare.

 

13.- La tutela contro la discriminazione sulla base delladisabilità si fonda, oltre che sulla della direttiva 2000/78/CE, attuatanell'ordinamento italiano, sulla Carta dei Diritti Fondamentali dell'UnioneEuropea, che include il motivo della disabilità nell'ambito dell'art. 21 (chesancisce il divieto generale di discriminazioni) e contiene anche unadisposizione specifica (art. 26) che riconosce il diritto dei disabili dibeneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionalee la partecipazione alla vita della comunità (azioni positive).

 

14.- E' inoltre fondata sulla Convenzione ONU sui dirittidelle persone con disabilità, ratificata dall'Italia con L. n. 18 del 2009("Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui dirittidelle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione dellepersone con disabilità"). Detta Convenzione (CDPD) è stata altresìapprovata dall'UE, nell'ambito delle proprie competenze, con "Decisionedel Consiglio del 26 novembre 2009 relativa alla conclusione, da parte dellaComunità Europea, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dellepersone con disabilità" (2010/48/CE), con la conseguenza che per la Cortedi giustizia UE le stesse direttive normative antidiscriminatorie vannointerpretate alla luce della Convenzione.

 

15.- Già con la sentenza 11 aprile 2013 in cause riuniteC-335/11 e C- 337/11, HK Danmark, la CGUE ha chiarito che la nozione di"handicap" di cui alla direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadrogenerale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizionidi lavoro, deve essere interpretata nel senso che essa include una condizionepatologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile,qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazionifisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversanatura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della personainteressata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altrilavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata, e che la natura dellemisure che il datore di lavoro deve adottare non è determinante al fine diritenere che lo stato di salute di una persona sia riconducibile a talenozione.

 

16.- In tale pronuncia, la CGUE ha sottolineato che ladirettiva 2000/78 deve essere oggetto, per quanto possibile, diun'interpretazione conforme alla CDPD (par. 28-32); infatti, la nozione di"handicap" non è definita dalla direttiva 2000/78 stessa (cfr.sentenza 11 luglio 2006 in causa C13/05, Chacon Navas). Peraltro, laConvenzione dell'ONU, ratificata dall'Unione Europea con decisione del 26novembre 2009, alla sua lett. e) riconosce che "la disabilità è unconcetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell'interazione trapersone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, cheimpediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base diuguaglianza con gli altri".

 

17.- In tal modo, l'art. 1, comma 2, di tale Convenzionedispone che sono persone con disabilità "coloro che presentano duraturemenomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione conbarriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettivapartecipazione nella società su una base di uguaglianza con gli altri".Inoltre, dall'art. 1, comma 2, della Convenzione dell'ONU risulta che lemenomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali debbano essere"durature". Nè risulta che la direttiva 2000/78 miri a coprireunicamente gli handicap congeniti o derivanti da incidenti, escludendo quellicagionati da una malattia; sarebbe, infatti, in contrasto con la finalitàstessa della direttiva in parola, che è quella di realizzare la parità ditrattamento, ammettere che essa possa applicarsi in funzione della causadell'handicap (par. 36 -41).

 

18.- In proposito, la sentenza HK ha osservato che unlavoratore disabile è maggiormente esposto al rischio di vedersi applicare ilperiodo di preavviso ridotto (rilevante secondo la legislazione danese inmateria) rispetto ad un lavoratore non disabile, perchè, rispetto ad unlavoratore non disabile, un lavoratore disabile è esposto al rischio ulterioredi una malattia collegata al suo handicap. Pertanto, egli corre un rischiomaggiore di accumulare giorni di assenza per malattia, con la conseguenza chela normativa in discussione in tale causa è idonea a svantaggiare i lavoratoridisabili e, dunque, a comportare una disparità di trattamento indirettamentebasata sull'handicap ai sensi dell'art. 2, paragrafo 2, lett. b), delladirettiva 2000/78. Occorre perciò esaminare se tale disparità di trattamentosia oggettivamente giustificata da una finalità legittima, se i mezzi impiegatiper il suo conseguimento siano appropriati e se essi non vadano al di là diquanto necessario per conseguire l'obiettivo perseguito dal legislatore (par.76, 77).

 

19.- La nozione di handicap/disabilità quale limitazionerisultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, ininterazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena edeffettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale subase di uguaglianza con gli altri lavoratori, ed il principio per cui ledirettive normative antidiscriminatorie UE vanno interpretate alla luce dellaConvenzione ONU, sono stati ribaditi nelle sentenze CGUE 4 luglio 2013, in causaC-312/2011 Commissione c. Italia (par. 56-57) e 18 dicembre 2014, in causa C-354/13, FOA; par.53-56).

 

20.- Con la sentenza 18 gennaio 2018, in causa C-270/16,Carlos Enrique Ruiz Conejero, valorizzata nella sentenza qui impugnata, la CGUEha, appunto, affermato che la definizione di discriminazione indirettacontenuta nella direttiva UE osta a una normativa nazionale che consenta illicenziamento di un lavoratore in ragione di assenze intermittenti dal lavorogiustificate e dovute a malattie imputabili alla disabilità di cui soffre illavoratore, salva verifica di quanto necessario per raggiungere l'obiettivolegittimo di lotta contro l'assenteismo.

 

21.- Ha osservato che un trattamento sfavorevole basatosulla disabilità contrasta con la tutela prevista dalla direttiva 2000/78unicamente nei limiti in cui costituisca una discriminazione ai sensi dell'art.2, paragrafo 1, della stessa. Infatti, il lavoratore disabile che rientrinell'ambito di applicazione di tale direttiva deve essere tutelato controqualsiasi discriminazione rispetto a un lavoratore che non vi rientri (par.36). Ha confermato, a tal proposito, la constatazione che un lavoratore disabileè, in linea di principio, maggiormente esposto al rischio di vedersi applicarela normativa spagnola in discussione in tale causa rispetto a un lavoratore nondisabile, essendo, rispetto a un lavoratore non disabile, esposto al rischioulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità, equindi soggetto a un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza permalattia e di raggiungere i limiti massimi di cui alla normativa pertinente. Atale rischio consegue l'idoneità di tale normativa a svantaggiare i lavoratoridisabili e, quindi, a comportare una disparità di trattamento indirettamentebasata sulla disabilità ai sensi dell'art. 2, paragrafo 2, lett. b), delladirettiva 2000/78.

 

22.- La CGUE ha specificato, quanto alle problematiche dimorbilità intermittente eccessiva ed ai costi connessi per le imprese, che gliStati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità non solo nellascelta di perseguire uno scopo determinato in materia di politica sociale e dioccupazione, ma altresì nella definizione delle misure atte a realizzarlo; eche la lotta all'assenteismo sul lavoro può essere riconosciuta come finalitàlegittima, ai sensi dell'art. 2, paragrafo 2), lett. b), i), della direttiva2000/78, dal momento che costituisce una misura di politica occupazionale,senza tuttavia ignorare, nella valutazione della proporzionalità dei mezzi, ilrischio cui sono soggette le persone disabili, le quali, in generale,incontrano maggiori difficoltà rispetto ai lavoratori non disabili areinserirsi nel mercato del lavoro e hanno esigenze specifiche connesse allatutela richiesta dalla loro condizione (par. 39-51).

 

23.- Alla luce della ricostruzione della giurisprudenza UEsopra richiamata, in materia regolata da specifica direttiva traspostanell'ordinamento interno, nonchè rientrante nell'area di tutela dell'art. 21della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, applicabile allafattispecie (in base all'art. 51 della stessa Carta, essendo certo ilcollegamento con il diritto dell'Unione), la sentenza impugnata si sottrae allecensure svolte con il primo motivo di ricorso.

 

24.- Se è vero che la nozione di handicap/disabilità non ècoincidente con lo stato di malattia, oggetto della regolazione contrattualecollettiva applicata al rapporto ai fini del computo del periodo di comportorilevante ai sensi dell'art. 2110 c.c., ciò non significa che essa siacontrapposta a tale stato, che può esserne tanto causa quanto effetto, e le cuiinterazioni devono essere tenute in considerazione nella gestione del rapportodi lavoro.

 

25.- In questo senso, nel caso di specie, l'applicazione allavoratore dell'ordinario periodo di comporto ha condivisibilmenterappresentato, secondo la Corte di merito, discriminazione indiretta. Ciòperchè, rispetto a un lavoratore non disabile, il lavoratore disabile è espostoal rischio ulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla suadisabilità, e quindi soggetto a un maggiore rischio di accumulare giorni diassenza per malattia e di raggiungere i limiti massimi di cui alla normativa pertinente.

 

26.- Come si è visto, secondo la normativa dell'UnioneEuropea come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, è tale rischio a rendereidonea una normativa che fissa limiti massimi di malattia - identici perlavoratori disabili e non - in vista del recesso datoriale per (quale quellasul comporto breve) a svantaggiare i lavoratori disabili e, quindi, acomportare una disparità di trattamento indirettamente basata sulla disabilità.

 

27.- L'evidenziato profilo di discriminatorietà prescindedalle peculiarità e dai meccanismi previsti dalle normative danese e spagnolaesaminati nelle citate sentenze della CGUE, e dalla fonte legislativa ocontrattuale collettiva della regolazione del comporto o di meccanismisimilari. Quel che rileva è l'approdo interpretativo, necessitato dallanormativa Europea trasposta in quella domestica, secondo il quale il rischioaggiuntivo di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabiledeve essere tenuto in conto nell'assetto dei rispettivi diritti e obblighi inmateria, con la conseguenza che la sua obliterazione in concreto, medianteapplicazione del periodo di comporto breve come per i lavoratori non disabili,costituisce condotta datoriale indirettamente discriminatoria e perciò vietata.

 

28.- Questo non significa che un limite massimo in terminidi giorni di assenza per malattia del lavoratore disabile non possa o non debbaessere fissato. Una simile scelta discrezionale del legislatore o delle partisociali per quanto di competenza, anche ai fini di combattere fenomeni diassenteismo per eccessiva morbilità, può integrare, come ricordato nellesentenze della CGUE citate, una finalità legittima di politica occupazionale,ed in tale senso oggettivamente giustificare determinati criteri o prassi inmateria. Tuttavia, tale legittima finalità deve essere attuata con mezziappropriati e necessari, e quindi proporzionati, mentre la mancataconsiderazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili,proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio apparentementeneutro del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatorianei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione diparticolare svantaggio.

 

29.- Non si pone, quindi, una questione di mancatobilanciamento con la finalità di contrasto dell'eccessiva morbilità dannosa perle imprese: nella misura in cui la previsione del comporto breve vieneapplicata ai lavoratori disabili e non, senza prendere in considerazione lamaggiore vulnerabilità relativa dei lavoratori disabili ai fini del superamentodel periodo di tempo rilevante, la loro posizione di svantaggio rimane tutelatain maniera recessiva.

 

La necessaria considerazione dell'interesse protetto deilavoratori disabili, in bilanciamento con legittima finalità di politicaoccupazionale, postula, invece, l'applicazione del principiodell'individuazione di soluzioni ragionevoli per assicurare il principio diparità di trattamento dei disabili, garantito dall'art. 5 della direttiva2000/78/CE (ovvero degli accomodamenti ragionevoli di cui alla Convenzione ONUsui diritti delle persone con disabilità, alla cui luce vanno interpretate ledirettive normative antidiscriminatorie UE), secondo una prospettiva che nonrisulta percorsa in concreto nel caso in esame.

 

30.- Il secondo motivo risulta parimenti non meritevole diaccoglimento. Esso involge in parte accertamenti di fatto, non sindacabili insede di legittimità in quanto congruamente e logicamente motivati, in relazioneagli elementi di prova, come raccolti dal Tribunale, la cui motivazione inparte qua è stata ripresa nella sentenza di secondo grado, ed anche presuntivi,relativi alla condizione di disabilità conosciuta dal datore di lavorodell'odierno controricorrente.

 

31.- Quanto al profilo dell'onere della prova, la Corte dimerito si è conformata all'orientamento di questa Corte, consolidato ed alquale si intende anche in questa sede dare continuità, secondo cui, in tema dilicenziamento discriminatorio, in forza dell'attenuazione del regime probatorioordinario introdotta per effetto del recepimento delle direttive n. 2000/78/CE,n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, così come interpretate dalla CGUE, incombe sullavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e iltrattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato asoggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazionesignificativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre eprovare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità econcordanza di significato, la natura discriminatoria della misura litigiosa(Cass. n. 23338/2018, in tema di recesso).

 

Infatti, nei giudizi antidiscriminatori, i criteri diriparto dell'onere probatorio non seguono i canoni ordinari di cui all'art.2729 c.c., bensì quelli speciali di cui al D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 4 chenon stabiliscono tanto un'inversione dell'onere probatorio, quanto, piuttosto,un'agevolazione del regime probatorio in favore del ricorrente, prevedendo una"presunzione" di discriminazione indiretta per l'ipotesi in cui abbiadifficoltà a dimostrare l'esistenza degli atti discriminatori; ne consegue cheil lavoratore deve provare il fattore di rischio, e cioè il trattamento cheassume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti incondizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, ed il datore dilavoro le circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravitàe concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta (Cass.n. 1/2020; cfr. anche, in tema di discriminazione indiretta nei confronti dipersone con disabilità, Cass. n. 9870/2022).

 

32.- Occorre rilevare poi che la discriminazione opera inmodo oggettivo ed è irrilevante l'intento soggettivo dell'autore. Non è dunquedecisivo (a parte i profili di prova della conoscenza della situazione didisabilità del lavoratore di cui ai paragrafi che precedono) l'assunto di partericorrente di non essere stata messa a conoscenza del motivo delle assenze dellavoratore, perchè i certificati medici delle assenze inoltrati al datore dilavoro non indicavano la specifica malattia a causa dell'assenza. Va, invero,confermato che la discriminazione - diversamente dal motivo illecito - operaobiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deterioreriservato al lavoratore, quale effetto della sua appartenenza alla categoriaprotetta, ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro (Cass.n. 6575/2016).

 

33.- Il ricorso deve essere quindi complessivamenterigettato.

 

34.- Le spese del presente giudizio, liquidate come dadispositivo, seguono la soccombenza.

 

Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio delcontributo unificato, ove dovuto.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente allarifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000 percompensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

 

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per ilversamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo dicontributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dellostesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

 

Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, esucc. modif., in caso di diffusione del presente provvedimento, vanno omesse legeneralità del controricorrente.

 

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8novembre 2023.

 

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2023

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