Caduta della lavoratrice sul piazzale ghiacciato: concorso di colpa

Cassazione Civile Sezione 6 Sentenza 26 novembre 2021 n 36865
Vi è concorso di colpa della lavoratrice se cade sul pavimento ghiacciato, sul quale ha un obbligo di manutenzione
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Cassazione Civile Sezione 6 Sentenza 26 novembre 2021 n 36865

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: BOGHETICH ELENA
Data pubblicazione: 26/11/2021

Rilevato che

1. Con sentenza depositata il 23.12.2019 la Corte di appello di Venezia, confermando la pronuncia del Tribunale di Vicenza e respingendo l'appello proposto dalla lavoratrice, ha accolto la domanda di risarcimento del danno conseguente ad infortunio sul lavoro di G.M. condannando il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, l'Ufficio scolastico regionale per il Veneto, Ufficio VIII di Vicenza, il Liceo scientifico statale "Quadri" di Vicenza al pagamento di euro 7.885,28 oltre accessori;
2. la Corte territoriale, rilevando che la lavoratrice era caduta nel piazzale ghiacciato adibito a parcheggio della scuola presso la quale svolgeva attività di collaboratrice ATA in quanto uscita da una porta secondaria ove era affisso il cartello di "divieto di accesso-uscita, da utilizzare solo in caso di emergenza", ha rinvenuto, ex art. 1227, primo comma, cod.civ., il concorso di colpa della lavoratrice (pari al 30%) in quanto a conoscenza dello stato dei luoghi (avendo, tra i suoi compiti, e dei suoi colleghi, quello di mantenere pulito il piazzale ed avendo percorso il medesimo piazzale la mattina stessa) ed avendo adottato un comportamento imprudente (non avendo ben ponderato il tragitto da percorrere per recarsi alla fermata dell'autobus e indossando calzature non adatte al periodo di intemperie invernali);
3. avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice deducendo un motivo di censura, illustrato da memoria; il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ha resistito con controricorso;
4. veniva depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.

Considerato che:

1. l'unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 cod.civ., 4, 8, comma 6, 226, 374 del d.P.R. n. 547 del 1955 avendo, la Corte territoriale, trascurato che la (ipotizzata) condotta imprudente della lavoratrice è giuridicamente vanificata dal fatto che il datore di lavoro non ha diligentemente adempiuto ai propri innumerevoli obblighi e doveri (manutenzione del cortile in buono stato di efficienza, imposizione del divieto di transito al personale), in materia di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, la cui osservanza avrebbe certamente, o con ragionevole probabilità, evitato l'evento.
2. il ricorso è manifestamente infondato;
3. tralasciando le ipotesi, nel caso di specie non ricorrente, dell'assunzione di un rischio c.d. elettivo da parte del lavoratore (che recide ogni nesso causale tra l'attività lavorativa ed il danno conseguente all'infortunio sul lavoro), questa Corte ha ripetutamente affermato che, quella dell'art. 2087 c.c.., non costituisce ipotesi di responsabilità oggettiva e che il lavoratore è onerato della sola prova della "nocività" del lavoro, spettando poi al datore dimostrare di avere adottato tutte le misure cautelari idonee ad impedire l'evento (cfr. da ultimo Cass. n. 30679 del 2019 e ivi ampie citazione);
4. in particolare, è stato recentemente chiarito che la responsabilità datoriale si fonda pur sempre «sulla violazione di obblighi di comportamento, a protezione della salute del lavoratore, imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, purché concretamente individuati» (Cass. n. 14066 del 2019) e, pertanto, la regola di diritto è quella per cui una volta addotta ed individuata una cautela (specificamente prevista ex ante da norme o genericamente deducibile dalle vigenti regole di prudenza, perizia e diligenza richiedibili nel caso concreto) che fosse idonea ad impedire l'evento e che non sia stata attuata, ne resta radicata la responsabilità datoriale;
5. invero, se la radice causale ultima dell'evento, pur in presenza di un comportamento del lavoratore astrattamente non rispettoso di regole cautelari, si radichi nella mancata adozione, da parte del datore di lavoro, di forme tipiche o atipiche di prevenzione, come detto individuabili e pretendibili ex ante, la cui ricorrenza avrebbe consentito, nonostante tutto, di impedire con significativa probabilità l'evento, la responsabilità rimane radicata esclusivamente in capo al datore di lavoro;
6. non può, peraltro, escludersi che il comportamento colposo del lavoratore, autonomamente intrapreso ma non tale da non integrare gli estremi del rischio elettivo, possa determinare un concorso di colpa, da regolare ai sensi dell'art. 1227 c.c. (così Cass. n. 30679 del 2019; conf. Cass. n. 1994 del 2012, Cass. n. 9817 di 2008, Cass. n. 7328 del 2004; e, in ambito previdenziale e di regresso, Cass. n. 21563 del 2018; Cass. n. 17917 del 2017; Cass. n. 2350 di 2010) allorquando l'evento dannoso non possa dirsi frutto dell'incidenza causale decisiva del solo inadempimento datoriale, ma derivi dalla indissolubile coesistenza di comportamenti colposi di ambo le parti del rapporto di lavoro;
7. l'inadempimento datoriale agli obblighi di prevenzione non è infatti in sé incompatibile con l'esistenza di un comportamento del lavoratore qualificabile come colposo, in quanto di ciò non vi è traccia negli artt. 2087 e 1227 c.c., né in alcuna altra norma dell'ordinamento;
8. le norme sanciscono l'obbligo del lavoratore di osservare i doveri di diligenza (art. 2104 c.c.), anche a tutela della propria o altrui incolumità (ratione temporis, art. 6 d.p.r. n. 547/1955; art. 5 d.lgs. 626/1994; ora art. 20 d. lgs. 81/2008) ed è indubbia la sussistenza di tratti del sistema prevenzionistico che coinvolgono anche i lavoratori (v. Cass. pen. n. 8883 del 2016), così come è scontato che i rapporti interprivati restino regolati anche dal generalissimo principio di autoresponsabilità per le proprie azioni;
9. è stato, dunque, affermato da questa Corte che il significato di alcune pregresse massime secondo cui l'inadempimento all'obbligo di protezione è ragione di esclusione del concorso di colpa va correttamente intesa nel senso che, per il particolare assetto che la responsabilità assume nel settore del lavoro, il comportamento incauto della vittima, in quanto al contempo destinataria dei doveri di protezione facenti capo al datore di lavoro (in quanto soggetto che organizza l'ambiente di lavoro), resta, almeno in determinate ipotesi (ordini datoriali indebitamente pericolosi per la salute del lavoratore; impostazione dell'attività lavorativa sulla base di disposizioni illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza) privo di rilievo giuridico a fini risarcitori, pur non escludendosi la possibilità, al di fuori di tali ambiti, di un concorso colposo ex art. 1227 c.c. (Cass. n. 30679 cit.);
10. la Corte territoriale non si è discostata da questi principi nella misura in cui, analizzando analiticamente le circostanze dell'infortunio, ha rilevato come l'entrata-uscita utilizzata dalla dipendente doveva essere utilizzata solamente in caso di emergenza, la circostanza era debitamente segnalata con cartello, l'entrata­ uscita principale della scuola era stata posta in sicurezza (spalatura della neve e spargimento di sale) e la pericolosità del luogo era nota all'infortunata la quale avrebbe dovuto assumere maggiore prudenza nella scelta del tragitto da compiere e nell'utilizzo di calzature adeguate alle condizioni climatiche di quel periodo;
11. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art.91 cod.proc.civ.
12. in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, addì 6 luglio 2021.

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